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Profughə e richiedentə asilo

Il 2023 e il 2024


Continua il processo di disumanizzazione, razzializzazione e normalizzazione della violenza nei confronti delle persone in movimento lungo le diverse rotte migratorie.

Come racconta il rapporto del network europeo Protecting rights at borders (PRAB)(1), nel corso del 2023 oltre 28 mila persone sono state respinte alle frontiere europee, un numero che purtroppo rappresenta solo in parte il numero effettivo dei respingimenti.

Il 2023 è stato caratterizzato dall’aumento degli ingressi dalla frontiera marittima, in costante crescita a partire dal 2019, raggiungendo livelli simili a quelli del triennio 2014-2017 (cosiddetta crisi dei rifugiati).


C8. Grafico 1 • Arrivi dalla frontiera marittima



Sono 157.652 le persone arrivate in Italia dal Mediterraneo nel 2023, oltre 50.000 in più rispetto all’anno precedente. Le nazionalità più presenti sono Guinea, Tunisia, Costa D’Avorio, Bangladesh, Egitto, Siria e Pakistan. Tuttavia il 2023 ha segnato l’aumento degli arrivi anche da Burkina Faso, Mali e Sudan, interessati da grave instabilità politica e crisi umanitarie.

L’aumento degli arrivi ha portato con sé anche un numero maggiore di tentativi di attraversamento lungo la rotta del Mediterraneo centrale da Algeria, Libia e Tunisia: 212.100, il 52% in più dell’anno precedente e il numero più elevato dal 2017(2).

Secondo i dati raccolti da IOM, l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni delle Nazioni Unite, il 71% delle persone partite sono arrivate, il 19% sono state intercettate e riportate in Tunisia o in Libia, mentre circa 14.090 persone sono state soccorse dalle ONG di Search and Rescue e arrivate in Italia.


C8. Grafico 2 • Gli attraversamenti lungo la rotta del mediterraneo centrale nel 2023



C8. Grafico 3 • Principali nazionalità delle persone arrivate dal Mediterraneo Centrale in Italia e a Malta



Il 2024 ha registrato invece l’arrivo sulle coste italiane di 66.317 persone, circa la metà rispetto all’anno precedente.

A crescere è stato anche il numero delle persone che hanno perso la vita lungo le tre rotte del Mediterraneo (orientale, centrale e occidentale): nel 2023 oltre 3.105 persone hanno perso la vita nel tentativo di raggiungere l’Europa, oltre 2.500 morti in più rispetto al 2022. Il 61% delle morti sono avvenute nel Mediterraneo centrale, soprattutto nei pressi delle coste tunisine con 700 morti, una cifra senza precedenti nell’ultimo decennio. Inoltre – secondo quanto riportato da Missing Migrants Project di IOM – oltre 1.900 persone hanno perso la vita a causa di naufragi che hanno provocato la morte di più di 20 persone.


C8. Grafico 4 • Numero di morti lungo la rotta del mediterraneo centrale dal 2019 al 2023



C8. Grafico 5 • La letalità del mediterraneo



Appare chiaro che il numero reale delle persone morte o scomparse in mare lungo le tre rotte del Mediterraneo sia molto più elevato di quello che emerge dai dati, e dal rapportoIn questo viaggio a nessuno importa se vivi o muori pubblicato da UNHCR, IOM e MMC emerge come il numero delle persone che muoiono mentre attraversano il deserto del Sahara è almeno il doppio di quello delle persone che muoiono in mare.

Nel 2023 - sempre secondo Missing Migrants - 8.542 persone sono morte o scomparse durante il percorso migratorio, il numero più elevato registrato negli ultimi dieci anni, che segna un incremento del 20% rispetto all’anno precedente e in generale un aumento senza precedenti del numero di morti attraverso il Mediterraneo, l’Africa e l’Asia. L’annegamento è stata la principale causa di morte, seguita da incidenti legati a mezzi di trasporto inadeguati o insicuri e da morti violente.

Il naufragio più tragico in prossimità delle coste italiane nel 2023, in termini di numero di morti, è stato quello avvenuto a pochi metri dalla riva del litorale di Steccato di Cutro, in provincia di Crotone, il 26 febbraio 2023. Delle circa 200 persone che viaggiavano su un’imbarcazione proveniente dalla Turchia, 94 hanno perso la vita, di cui 34 bambini. Le autorità italiane, nonostante la segnalazione di Frontex - l'Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, non sono intervenute con un’operazione di salvataggio, ma con un’operazione di polizia, pertanto non sono stati impiegati i mezzi di soccorso della guardia costiera, come avvenuto in passato in questi casi.

Secondo i dati Eurostat, nel 2023 le persone richiedenti asilo in Italia sono aumentate di due terzi rispetto al 2022, con 130.565 nuove domande di asilo registrate nel 2023.

Nonostante tale aumento, il nostro paese si colloca al di sotto dei numeri registrati in Germania (329.035 nuove domande di asilo) in Francia (145.095) e in Spagna (160.460) e, inoltre, si osserva che è diminuito del 22% il numero di domande esaminiate dalle Commissioni Territoriali.

Per quanto riguarda gli esiti, sul totale delle persone richiedenti esaminate in Italia, circa la metà ha ottenuto una decisione positiva e più specificamente: 4.910 persone sono state riconosciute rifugiate, 6.185 hanno avuto il riconoscimento della protezione sussidiaria e 9.690 della protezione speciale.


C8. Grafico 6 • Domande di asilo in Italia nel 2023



All’indomani del naufragio di Steccato di Cutro il Governo Meloni ha approvato il decreto legge n. 20 del 10 marzo 2023(3) – irrispettosamente denominato Decreto Cutro – contenente “Disposizioni urgenti in materia di flussi di ingresso legale dei lavoratori stranieri e di prevenzione e contrasto all’immigrazione irregolare”. 

Il decreto non contiene nessuna disposizione volta ad agire sulle cause della tragedia, piuttosto il naufragio è stato utilizzato dal Governo per implementare le politiche di respingimento alle frontiere, restringere ulteriormente le maglie del diritto di asilo e dell’accoglienza, estendere l’uso della detenzione amministrativa negli hotspot e nei CPR, limitare il riconoscimento della protezione speciale, criminalizzando le persone in movimento. Circa un mese prima, peraltro, lo stesso Consiglio dei Ministri aveva approvato il cosiddetto Decreto Piantedosi I che aveva introdotto limitazioni e sanzioni volte a ostacolare le attività di search and rescue delle ONG che operano nel Mediterraneo. Inoltre, il 19 aprile del 2023 il Governo ha dichiarato lo stato di emergenza, con la nomina di un Commissario dotato di poteri di deroga, ad alcune norme del Codice degli appalti per la realizzazione di strutture di accoglienza, in modo da ampliare la capacità del sistema dei centri di accoglienza straordinari per persone richiedenti asilo, facilitando l’apertura di nuovi hotspot e di strutture temporanee.

Durante i primi due anni di attività del Governo Meloni l’attenzione sul tema immigrazione è stata significativa. L’attività normativa volta ad agire sulle regole in materia di asilo, accoglienza e protezione speciale è stata pressoché incessante, con modifiche importanti avvenute mediante lo strumento del decreto legge, quindi utilizzando i presupposti dell’eccezionalità e dell’urgenza e declinando il tema unicamente in termini di sicurezza, trascurando invece gli aspetti umanitari e sociali. A limitare ulteriormente l’esercizio del diritto di asilo sono intervenuti due decreti interministeriali di aggiornamento della cd. lista dei paesi di origine sicuri prevista dall’art. 2 bis del D. Lgs. 25/2008, che sottopone sempre più persone richiedenti asilo alla procedura accelerata, nella quale si presume che il paese sia sicuro per chi da lì proviene, con inversione dell’onere della prova in capo alla persona richiedente asilo e con tempi di esame della domanda molto ridotti, che non consentono l’emersione di vulnerabilità o di elementi utili a una valutazione completa dei motivi da parte delle Commissioni.

Il primo decreto di aggiornamento della lista, emanato dal Governo Meloni del 17 marzo 2023, ha eliminato definitivamente l’Ucraina dall’elenco, aggiungendo ai restanti 12 paesi che erano già presenti nella lista del 2019, la Nigeria, il Gambia, la Costa D’Avorio e la Georgia; il secondo decreto, del 7 maggio 2024, ha aggiunto Bangladesh, Camerun, Colombia, Egitto, Perù e Sri Lanka, portando a 22 il numero dei paesi sicuri per l’Italia.

Osservando i dati, emerge che la qualificazione di un paese come sicuro si basa principalmente sull’aumento del numero delle richieste di asilo di persone provenienti da quei paesi(4), mentre sembra che nella valutazione di “sicurezza” siano state trascurate documentate situazioni di instabilità e di grave violazione dei diritti umani e - come già avvenuto nel 2019 - non sono state rese pubbliche le motivazioni della designazione.

Va poi evidenziato che le stesse schede ministeriali segnalano persecuzioni legate al genere o all’orientamento sessuale o eccezioni per alcune zone.

La questione dei paesi di origine sicuri si è in seguito fortemente intrecciata alle complicate vicende riguardanti il cd. protocollo Italia – Albania(5), dal momento che proprio le persone provenienti da questi paesi e soccorse in mare dalle autorità italiane possono essere trasferite nei centri di detenzione in Albania. Il disegno politico è chiaramente quello di rendere la procedura accelerata e il possibile trattenimento nei centri albanesi, di fatto, la norma, applicandola alla maggior parte delle domande di asilo.

Più in generale, si osserva come le recenti novità normative vanno a sviluppare ulteriormente una tendenza manifestatasi in maniera sempre più marcata negli ultimi anni, e cioè l’ampliamento dell’uso del trattenimento per le persone richiedenti asilo - che possono essere private della libertà ancor prima di essere raggiunte da un provvedimento di allontanamento - e il moltiplicarsi di strutture specificamente utilizzate per il trattenimento nelle procedure di frontiera.

Il protocollo italo-albanese prevede espressamente come scopo il trasferimento coattivo di persone provenienti da paesi terzi per le quali devono essere accertati i requisiti per l’ingresso e il soggiorno nel territorio italiano o per le quali è stata accertata l’assenza di tali requisiti.

In attesa dell’espletamento delle procedure di frontiera o di rimpatrio, le persone vengono trattenute all’interno di strutture realizzate con risorse italiane in aree concesse a titolo gratuito dal governo albanese. Le autorità italiane devono garantire che le persone trattenute non possano uscire dalle strutture senza autorizzazione e il periodo di trattenimento non può essere superiore al tempo massimo di trattenimento previsto dalla normativa vigente in Italia, cioè fino a 18 mesi. Al termine delle procedure, le autorità italiane devono provvedere all’allontanamento delle persone dal territorio albanese, rimpatriandole nel paese di origine o riportandole in Italia.

Si configura, dunque, una situazione in cui le persone soccorse in mare dalle autorità italiane e che per questo si trovano sotto la giurisdizione italiana, vengono trasferite in un paese extra UE, con l’unico scopo di impedire l’ingresso nel territorio europeo e determinare condizioni di esame delle domande di asilo con garanzie procedurali molto ridotte rispetto a quelle che sarebbero previste sul territorio italiano.

Sebbene l’accordo si inserisca nel quadro più ampio delle politiche nazionali ed europee di esternalizzazione delle frontiere, esso rappresenta comunque una preoccupante novità in tale panorama, perché estende al territorio di un paese terzo l’applicabilità della legge italiana, rendendo specifiche aree albanesi zone di frontiera italiane.

Nonostante i numerosi profili di illegittimità costituzionale in termini di compatibilità con il diritto di asilo (art. 10, comma 3 Cost.), con il diritto di difesa (art. 24 Cost.) e con la libertà personale (art. 13 Cost.) evidenziati da giuristi e associazioni per i diritti umani(6), il protocollo è stato ratificato con legge approvata dal Parlamento a febbraio del 2024.

Le strutture in Albania, l’hotspot di Shengjin e il centro di trattenimento per richiedenti asilo di Gjader, dove sono stati realizzati anche un Centro di Permanenza per i rimpatri e un penitenziario, costruiti in tempi record, sono diventate operative a ottobre del 2024.

I primi trasferimenti di persone soccorse in mare hanno fin da subito mostrato le criticità sia nelle procedure di screening effettuate durante le operazioni di soccorso – che dovrebbero far emergere eventuali vulnerabilità - sia nell’applicabilità delle procedure di frontiera.

Il Tribunale di Roma, competente per la convalida del trattenimento delle persone trasferite nei centri albanesi, non ha convalidato il trattenimento per l’impossibilità di considerare “paesi sicuri” gli Stati di provenienza dei richiedenti asilo con conseguente inapplicabilità della procedura di frontiera e successivo trasferimento in Italia delle persone trattenute.

Di fronte a tale decisione, che ha messo fortemente in crisi il piano Albania, il Governo ha approvato con decreto-legge un elenco di 19 paesi considerati sicuri, in modo da blindare con un atto avente forza di legge la lista dei paesi sicuri, presupposto dell’operatività del protocollo. Per questo, con una successiva decisione, il Tribunale di Roma ha disposto un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea al fine di chiarire i profili di dubbia compatibilità del decreto legge sui paesi sicuri con la normativa sovranazionale.

I giudici di Roma hanno ritenuto tale decreto in contrasto con le norme europee perché i paesi di provenienza delle persone trasferite in Albania – Bangladesh ed Egitto – non possono essere considerati sicuri in tutto il loro territorio e per tutte le persone, condizione di “sicurezza” ribadita da una sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 4 ottobre 2024.

In attesa della decisione dei giudici europei su questa controversa vicenda, dopo circa un mese dalla loro apertura, i centri in Albania restano vuoti.

Un ulteriore passo indietro nella tutela dei diritti delle persone in movimento è stato segnato dall’approvazione da parte del Parlamento europeo del nuovo Patto europeo su migrazione e asilo del 10 aprile del 2024, che metterà drammaticamente a sistema le politiche europee di esternalizzazione e militarizzazione delle frontiere portate avanti negli ultimi anni.

Di fronte alla prospettiva di un’intensificazione delle migrazioni nei prossimi anni a causa delle crescenti diseguaglianze create dal sistema capitalistico e dagli effetti del cambiamento climatico, l’Unione Europea continua a rafforzare la propria risposta securitaria e razzializzante, che criminalizza e punisce le persone in movimento, senza garantire vie di accesso legali.

Il nuovo Patto implementerà l’uso della detenzione amministrativa, la profilazione razziale attraverso pratiche violente di sorveglianza e trattamento dei dati personali, legalizzando violazioni sistematiche dei diritti umani lungo i confini esterni e prevedendo procedure che compromettono l’accesso al diritto di asilo e all’assistenza legale alle frontiere, nonché il diritto all’accoglienza sul territorio europeo.

Sempre in tema di esternalizzazione delle frontiere, ricordiamo che a luglio del 2023 è stato firmato a Tunisi – alla presenza della presidente della Commissione Europea Ursula Von Der Lyen e della premier italiana Giorgia Meloni – un memorandum d’intesa tra Unione Europea e governo tunisino, che prevede lo stanziamento di 150 milioni di euro di sostegno al bilancio e di 105 milioni di euro per la gestione delle frontiere. L’accordo mira a rendere gli aiuti economici condizionali alla gestione dei flussi migratori, visto che la Tunisia continua a essere il paese da cui arrivano più persone che cercano di attraversare i confini europei, e ciò nonostante le gravi violazioni dei diritti umani documentate nei confronti delle persone in movimento e in transito nel paese.

Il ruolo dell’Italia nel piano di collaborazione con la Tunisia per il finanziamento delle politiche di blocco della migrazione è stato centrale nel corso degli ultimi due anni, con visite ufficiali della Presidente Meloni a Tunisi e da ultimo, a dicembre del 2023, con lo stanziamento di 4,8 milioni di euro per la riparazione e il trasferimento di 6 motovedette della Guardia nazionale tunisina, responsabile di documentati atti di violenza anche armata su imbarcazioni cariche di persone, che hanno provocato in alcuni casi anche il naufragio, allo scopo di impedire gli attraversamenti in mare verso l’Italia. Ricordiamo inoltre che nel 2024 l’Unione ha siglato un accordo analogo con l’Egitto, che prevede un pacchetto di investimenti per 7,4 miliardi di euro in quattro anni. Tra i temi oggetto del memorandum ovviamente vi è anche quello della gestione dei flussi migratori verso l’Europa: 200 milioni di euro per intensificare i controlli lungo le frontiere europee, scoraggiare le partenze e aumentare i rimpatri verso l’Egitto.

Tornando alla prospettiva nazionale, la violazione dei diritti delle persone in movimento continua ad avvenire anche a livello amministrativo per coloro che, entrati nel territorio nazionale, vogliono regolarizzare la propria posizione documentale. Le pubbliche amministrazioni coinvolte nelle procedure di rilascio dei permessi di soggiorno e di esame delle domande di protezione internazionale, in particolare le Questure, continuano ad attuare prassi illegittime che ostacolano l’accesso ai diritti fondamentali come la domanda di protezione internazionale, le misure di accoglienza e il rilascio o il rinnovo dei permessi di soggiorno.

Per quanto riguarda la protezione internazionale, le principali criticità riguardano la difficoltà di accedere alla Questura per presentare la domanda, i tempi lunghi per la formalizzazione mediante il modello C3 e di conseguenza per l’accesso alle misure di accoglienza, nonché per l’esame della domanda da parte della Commissione Territoriale.

In particolare, gran parte delle Questure - per ragioni organizzative - sono in grado di recepire un numero molto limitato di domande al giorno e spesso la selezione all’ingresso degli uffici avviene attraverso criteri non chiari e del tutto arbitrari, senza possibilità di chiedere un appuntamento.

In questo modo si viola il dettato normativo del D.Lgs. 25/2008 secondo cui l’accoglimento della manifestazione della volontà di chiedere asilo deve essere tempestiva e prevede che la richiesta sia formalizzata entro 3 giorni o, in caso di arrivi massicci, entro 10 giorni.(7)

Le persone sono quindi costrette a sostenere estenuanti file davanti agli uffici, già dalla sera precedente all’orario di apertura, con qualsiasi condizione atmosferica, in condizioni fortemente lesive della loro dignità. Tale prassi è stata più volte censurata dai giudici, i quali hanno chiarito che sulla P.A. grava l’obbligo di predisporre i mezzi adeguati a garantire il rispetto dei termini di legge, ma soprattutto dei diritti fondamentali delle persone richiedenti asilo.

A ciò si aggiunge poi la prassi illegittima di richiedere documentazione aggiuntiva per la presentazione della domanda di asilo – come il passaporto o la dichiarazione di ospitalità – richieste prive di fondamento normativo e anch’esse più volte dichiarate illegittime dai giudici.

Come detto, il ritardo nella presentazione della domanda di asilo determina come ulteriore conseguenza l’impossibilità di accedere alle misure di accoglienza, dato che, secondo quanto stabilito dal D. Lgs. 142/2015, tale diritto sorge dal momento della manifestazione della volontà di chiedere asilo.

Va detto che – come conseguenza dello smantellamento del sistema di accoglienza per le persone richiedenti asilo, da ultimo a opera del D.l. 20/2023, che ha nuovamente escluso le persone richiedenti asilo dalla possibilità di essere inserite nei progetti SAI, andando ad appesantire ulteriormente i CAS, cioè i centri di accoglienza straordinari – i tempi di attesa per l’inserimento nelle strutture di accoglienza sono in molti casi lunghissimi, e possono arrivare fino a un anno. Tempo durante il quale le persone, in mancanza di alternative, finiscono per dormire in strada oppure - in città come Roma - vanno ad affollare il circuito di accoglienza cittadino per le persone senza dimora. Tempi lunghi di conclusione del procedimento e prassi illegittime da parte delle Questure caratterizzano anche le richieste di rilascio e di rinnovo dei permessi di soggiorno.

Come si è detto, gli ultimi anni sono stati senza dubbio caratterizzati dall’utilizzo della detenzione amministrativa come strumento per assicurare l’effettività dei provvedimenti di allontanamento dal territorio nazionale delle persone straniere prive di titolo di soggiorno(8). Tale tendenza si è manifestata in particolare a partire dal 2015: l’unica risposta che la politica nazionale – sotto la pressione delle istituzioni europee – ha adottato di fronte all’aumento del numero degli arrivi via mare è stata la decisione, comune a tutte le compagini di governo susseguitesi, di investire sulla detenzione amministrativa ampliando la rete dei centri di permanenza per i rimpatri, aumentando le ipotesi e i tempi di trattenimento anche delle persone richiedenti asilo.

Nell’autunno del 2023 il governo Meloni ha dichiarato i centri di detenzione per persone straniere “opere di interesse per la difesa e la sicurezza nazionale” e con il D.l. 124/2023 ha annunciato la realizzazione di un piano straordinario per l’individuazione delle aree in cui costruire le nuove strutture, con lo stanziamento di 20 milioni di euro per il 2023 e di un milione di euro all’anno a partire dal 2024. Nonostante i ripetuti annunci, il suddetto piano non ha avuto alcuno sviluppo concreto e alla fine del 2023 il sistema nazionale aveva una capacità di 1443 posti, ma con solo 764 effettivamente utilizzabili.



Una panoramica degli ultimi dieci anni


Negli ultimi dieci anni, dal 2013 - anno del tragico naufragio di Lampedusa in cui persero la vita 368 persone - al 2023 sono oltre un milione le persone in movimento arrivate in Italia dalla frontiera marittima e purtroppo sono oltre 28 mila le persone morte o disperse in mare. Al 2024 sono oltre 30.000 le persone morte nel Mediterraneo.

L’andamento del numero degli arrivi è stato altalenante, con picchi di partenze registrati in corrispondenza di gravi crisi umanitarie, guerre, peggioramento della situazione economica e politica in alcuni paesi.

Tra il 2013 e il 2014 l’aggravarsi del conflitto in Siria e dell’instabilità politica di numerosi paesi africani ha determinato un notevole aumento delle persone in fuga e, in seguito, tra il 2014 e il 2017, l’Italia e l’Europa si sono trovate a gestire la cosiddetta “crisi dei rifugiati” con oltre 625.000 persone arrivate sulle coste italiane.

Il 2017 è stato l’anno del vergognoso accordo Italia – Libia, che ha determinato un rilevante calo degli arrivi – 11.000 nel 2019 – perché veniva impedito alle persone di partire dalle coste libiche, persone che in Libia venivano e vengono tutt’oggi sottoposte a torture, violenze e trattamenti inumani e degradanti nei centri di detenzione, e finanziando la cosiddetta guardia costiera libica per intercettare e riportare indietro le imbarcazioni che tentavano di raggiungere l’Italia.

Dal 2020 al 2023 si è registrato un nuovo aumento degli arrivi, tuttavia – sebbene si parli di numeri importanti - non si può parlare di emergenza, come invece il Governo Meloni ha continuato a dichiarare fin dal suo insediamento per giustificare interventi normativi d’urgenza, che hanno come unico scopo quello di introdurre un regime restrittivo e securitario.

Oltre agli accordi con i paesi terzi, ai quali l’Europa ha sostanzialmente affidato il controllo delle proprie frontiere esterne e l’attuazione di politiche disumane di respingimento legittimando e finanziando gravissime e documentate violazioni dei diritti umani ai propri confini, questi dieci anni sono stati caratterizzati da una vera propria guerra alle ONG di search and rescue che operano nel Mediterraneo. Campagne mediatiche di criminalizzazione dei soccorsi umanitari, false accuse di attività legate al traffico di esseri umani, sostenute da inchieste giudiziarie che si sono concluse con un nulla di fatto, norme e sanzioni volte a ostacolare missioni di ricerca e soccorso hanno di fatto cercato di eliminare gli unici testimoni delle gravissime violazioni dei diritti umani che avvengono quotidianamente nel Mediterraneo per effetto delle politiche europee e italiane.

I dati riportati riguardano esclusivamente gli arrivi attraverso la frontiera marittima, mentre non esistono dati ufficiali del Ministero dell’Interno sugli ingressi via terra. In particolare, nell’ultimo decennio, si sono intensificati gli arrivi dalla frontiera nord-orientale lungo la rotta balcanica.

Se da un lato le politiche in materia di immigrazione in Italia hanno goduto di un’attenzione pubblica crescente negli anni, a ciò hanno corrisposto interventi normativi frammentari e disordinati, realizzati quasi sempre in ottica emergenziale, privi di una visione programmatica e concentrati prevalentemente sul controllo e il contenimento dei flussi piuttosto che sulle politiche di inclusione e di tutela dei diritti, con una concezione generalmente restrittiva della gestione del fenomeno. Il dibattito pubblico sull’immigrazione, piegato alle logiche populiste e securitarie della destra – che ne ha fatto sempre più il cavallo di battaglia nelle sue campagne elettorali – ma non solo, si è concentrato quasi esclusivamente sugli sbarchi e sul controllo dei confini, con la criminalizzazione delle persone in movimento e la declinazione del tema in ottica esclusivamente repressiva e securitaria. Il consenso crescente dei partiti populisti in Italia, abili a far leva sul sentimento di paura e sulle spinte xenofobe che identificano nello straniero il nemico, ha condotto anche i loro avversari politici a competere sul tema del contenimento delle migrazioni.

Nel 2017, infatti, il Governo Gentiloni ha firmato il già citato accordo con la Libia per affidare alla Guardia nazionale libica il controllo della frontiera marittima del Mediterraneo centrale, finanziandone l’addestramento, nonostante le denunce da parte di ONG e organismi internazionali circa le sistematiche e gravissime violazione dei diritti umani compiute nei confronti delle persone in movimento in Libia. Questa strategia di respingimento sarà rafforzata da successivi interventi normativi, come il D.l. 13/2017, cd. Decreto Minniti-Orlando che ha trasformato i Centri di identificazione ed espulsione (CIE) nei Centri di permanenza per i rimpatri, gli attuali CPR, con l’obiettivo di ampliare le ipotesi di trattenimento delle persone arrivate in Italia, anche richiedenti asilo, e di accelerare le procedure di rimpatrio.

L’immigrazione è stato senza dubbio il tema centrale della campagna elettorale del 2018 che ha portato alla formazione del cd. governo giallo verde (Movimento 5 Stelle e Lega) e alla nomina del leader della Lega Matteo Salvini a Ministro dell’Interno. Inizia la fase dei decreti sicurezza e della politica dei “porti chiusi”: viene abolita la protezione umanitaria, una forma di protezione attuativa del cd. asilo costituzionale, sancito dall’art. 10, comma 3 della Costituzione italiana, vengono ampliate le ipotesi e i tempi di trattenimento negli hotspot e nei CPR dei richiedenti asilo e delle persone straniere espulse e viene limitato l’accesso dei richiedenti asilo al percorso di accoglienza SPRAR, andando così ad ampliare le maglie dell’accoglienza emergenziale dei CAS che, come noto, non garantiscono un livello di servizi adeguato a sostenere i percorsi di inclusione.

Nel 2019 si sono intensificate le politiche del Governo, in particolare del Ministero dell’Interno, per impedire l’ingresso nel territorio italiano delle navi delle ONG che operano nel soccorso in mare.

Emblematici i casi dell’incidente della nave della ONG tedesca Sea – Watch e il blocco della nave della ONG spagnola Open Arms, che ha portato a processo l’allora Ministro dell’Interno Salvini con l’accusa di rifiuto di atti di ufficio e sequestro di persona plurimo dinanzi al Tribunale di Palermo.

Di fronte al cambiamento delle migrazioni verso l’Europa sia per dimensioni che per natura – trattandosi soprattutto di migrazioni forzate – la legislazione nazionale e internazionale, in particolare europea, risultano incapaci di rispondere a un fenomeno strutturale e inarrestabile.

Le politiche di respingimento e di restrizione del diritto di asilo – come è evidente – hanno come unico risultato quello di alimentare e legittimare gravissime violazioni dei diritti umani nei confronti delle persone provenienti da alcune aree del mondo, alle quali è negata la libertà di movimento esclusivamente per ragioni di carattere razzista e classista.

Anche per chi riesce a oltrepassare i confini e ad arrivare in Italia le possibilità di costruire un percorso di vita in cui sia garantito il pieno esercizio dei propri diritti sono sempre più ristrette. A fronte di una legislazione interna che tende a impedire la permanenza delle persone straniere in una condizione di regolarità documentale, l’unico canale di regolarizzazione è l’asilo, mentre non è possibile ottenere un permesso per lavoro se la persona si trova già sul territorio nazionale.

Sotto tale profilo, la situazione è stata ulteriormente peggiorata dagli ultimi interventi normativi dell’attuale Governo, che hanno limitato la possibilità di convertire alcune tipologie di permesso di soggiorno – come quello per protezione speciale – in permesso per motivi di lavoro, mettendo a rischio il percorso di vita che faticosamente molte persone hanno costruito dopo essere arrivate in Italia. Tutto ciò si inserisce in un orizzonte di restrizione per le persone straniere che riguarda non solo il tema del diritto di asilo, ma più in generale il tema della salute, del lavoro, della casa, della cittadinanza.

In conclusione, la panoramica degli ultimi dieci anni in tema di immigrazione e asilo non è certamente positiva. Il razzismo nei confronti delle persone in movimento, percepite come ontologicamente illegali, ha reso tollerabile che decine di migliaia di esseri umani perdessero e continuino a perdere la vita o subiscano violenze e torture ai confini dell’Europa.

Questo razzismo, in Italia e nel resto dei paesi europei, si è sviluppato – come evidenziato - attraverso un duplice livello istituzionale: quello legislativo, con norme restrittive dei diritti e spesso in contrasto con i principi costituzionali, e quello delle prassi amministrative e di polizia contrarie alle leggi. Su questo terreno sta crollando il sistema democratico italiano ed europeo, sotto il peso della contraddizione tra le pratiche di esclusione e disumanizzazione delle persone in movimento e i valori di libertà e di uguaglianza su cui tali sistemi dovrebbero essere fondati, ormai solo formalmente sanciti dalle carte costituzionali e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.




Raccomandazioni


  • Implementare a livello europeo la creazione di canali di ingresso regolari nel territorio dell’Unione Europea.


  • Garantire alle persone con bisogno di protezione l’effettivo accesso alla domanda di asilo e ai diritti connessi, potenziando il personale degli uffici preposti e migliorando la qualità delle procedure di registrazione ed esame delle domande.


  • Cessare qualsiasi accordo o intesa con paesi terzi, che di fatto ha lo scopo di limitare la libertà di movimento delle persone ed esternalizzare le frontiere europee.


  • Sostenere le attività di search and rescue delle ONG e implementare una missione di salvataggio europea, abrogare i provvedimenti restrittivi emanati negli ultimi anni nei confronti delle stesse ONG.


  • Promuovere una riforma efficace del sistema comune di asilo europeo, con particolare riguardo ai principi di solidarietà ed equa ripartizione delle responsabilità tra stati UE, anche introducendo un meccanismo effettivo di assegnazione della competenza ad accogliere ed esaminare le domande di asilo superando il criterio del primo paese di ingresso previsto dal cd. Regolamento Dublino III.


  • Chiusura delle strutture di trattenimento e detenzione amministrativa delle persone straniere richiedenti asilo o prive di un titolo di soggiorno, sia quelle presenti sul territorio italiano, sia quelle extraterritoriali in Albania.




Note


(1) - Protecting rights at borders è una rete di organizzazioni di diversi Stati europei che si occupa di raccogliere testimonianze di respingimenti e riammissioni alle frontiere esterne e interne dell’Unione europea, avanzando altresì richieste di advocacy alle istituzioni europee.

(2) - https://italy.iom.int/sites/g/files/tmzbdl1096/files/documents/2024-06/2023unhcr-iom-joint-annual-overview.pdf

(3) - Decreto legge convertito con modificazioni dalla legge 5 maggio 2023, n. 50

(4) - Applications for Asylum in the EU in 2023 https://public.flourish.studio/visualisation/16683209/

(5) - Legge n. 14 del 21 febbraio 2024 recante la ratifica ed esecuzione del Protocollo tra il Governo della Repubblica italiana e il Consiglio dei ministri della Repubblica di Albania per il rafforzamento della collaborazione in materia migratoria, fatto a Roma il 6 novembre 2023.

(6) - https://www.asgi.it/allontamento-espulsione/albania-italia-protocollo-analisi-giuridica/; https://www.asgi.it/allontamento-espulsione/tavolo-asilo-e-immigrazione-appello-al-parlamento-perche-non-ratifichi-il-protocollo-italia-albania/

(7) - D.Lgs. 25/2008, art 26 comma 2 bis

(8) - Vedi il rapporto “Trattenuti. Una radiografia del sistema detentivo per stranieri”, https://trattenuti.actionaid.it/

Jerry Masslo

Jerry Masslo

(Umtata 1959 - Villa Literno 1989)
IN MEMORIA DI JERRY MASSLO, ATTIVISTA CONTRO L'APARTHEID AL QUALE L'ITALIA RIFIUTÓ LO STATUS DI RIFUGIATO, UCCISO MENTRE DIFENDEVA BRACCIANTI COME LUI NELLE NOSTRE CAMPAGNE

“Pensavo di trovare in Italia uno spazio di vita, una ventata di civiltà, un'accoglienza che mi permettesse di vivere in pace e di coltivare il sogno di un domani senza barriere né pregiudizi. Invece sono rimasto deluso. Avere la pelle nera in questo paese è un limite alla convivenza civile. Il razzismo è anche qui: è fatto di prepotenze, di soprusi, di violenze quotidiane con chi non chiede altro che solidarietà e rispetto. Noi del terzo mondo stiamo contribuendo allo sviluppo del vostro paese, ma sembra che ciò non abbia alcun peso. Prima o poi qualcuno di noi verrà ammazzato ed allora ci si accorgerà che esistiamo.”

Jerry Essan Masslo è stato un rifugiato politico sudafricano. Nato nel paese dell'apartheid, arrivò in Italia alla fine degli anni ‘80 dopo essere cresciuto nella violenza e nella discriminazione. Suo padre era uno dei tanti desaparecidos (o missing) della dittatura sudafricana. La sua famiglia una delle tante di fatto schiavizzate per mantenere al potere un’élite corrotta, incapace e profondamente violenta. Combatté nel suo paese per abbattere questo regime a rischio della sua vita e di quella dei suoi familiari. Perseguitato, dovette far scappare i suoi in Zimbabwe e, in seguito, fuggì lui stesso.

Fuggì, appunto, da clandestino. Nell'unico modo in cui si può fuggire da tanti, troppi paesi. Fuggì per cambiare vita, per cercare un futuro migliore per sé e per la propria famiglia. Fuggì perché era giusto farlo. Fuggì per combattere ancora. Arrivò in Italia. Irregolare. Il nostro governo gli rifiutò lo status di rifugiato, probabilmente per non turbare i rapporti con l'aberrante regime sudafricano. E Jerry, per sopravvivere, andò a fare il bracciante nel meridione. Lottò anche lì, lottò fino alle fine. Fino a quando fu ucciso da dei delinquenti comuni che affrontò coraggiosamente mentre tentavano di derubare lui e altri migranti della misera paga quotidiana all'interno della baraccopoli nella quale viveva.

Vorremmo davvero scrivere che, da allora, vi siano stati cambiamenti importanti. Vorremmo, ma non lo scriveremo. Perché quando, nel giugno 2018, è morto Soumaila Sacko - e prima e dopo di lui molti altri - abbiamo visto e letto cose anche peggiori rispetto al 1989. Perché le storie di quelli come lui, quelli che ci ricordano che da qualche parte, vicino e lontano, molti soffrono, devono essere accantonate e tenute nascoste. Perché chissà che ci si renda conto che gli oppressi non hanno confini.

Scusaci Jerry, avremmo voluto scrivere un finale migliore ma per ora non possiamo farlo. Ma non temere, il libro della storia non è chiuso, e sull'ultima pagina saranno quelli come te a lasciare il loro segno.