Il punto della situazione
Nonostante “la piena ed effettiva partecipazione e inclusione nella società” sia uno dei principi cardine della Convenzione Onu sui Diritti delle Persone con Disabilità (CRPD), il capitolo del rapporto ISTAT 2022 sulla situazione del paese(1), evidenzia come per le persone con disabilità permanga “la difficoltà a partecipare come eguali [che] ha probabilmente la sua espressione più drammatica nel nesso che si osserva tra disabilità e disuguaglianze”. In particolare sono approfonditi tre aspetti per molti versi collegati tra loro: le difficoltà economiche delle famiglie, il ruolo del lavoro e la partecipazione scolastica.
Le famiglie con persone con disabilità sono circa 2 milioni e 800 mila, pari al 10,7% delle famiglie in Italia, e svolgono un ruolo importante nella cura e nel contrasto al rischio di esclusione sociale. Il contributo dei familiari, in particolare le donne, spesso si traduce in un impegno gravoso in termini di tempo ed energie, limitando la capacità di produzione del reddito dell’intero nucleo, i cui componenti sono spesso costretti a rinunciare, totalmente o in parte, all’attività lavorativa o alla carriera. Tale situazione si riflette pesantemente, inoltre, sulle condizioni economiche delle famiglie con persone con disabilità il cui reddito medio disponibile risulta inferiore del 7,8% a quello nazionale, e dipende in buona dai trasferimenti economici da parte dello Stato, senza i quali il rischio di povertà salirebbe dal 20% al 32,8%. Nel 2022 l’Italia è stata condannata dal Comitato ONU per la mancanza di tutele nei confronti dei caregiver familiari.
Riguardo al tema lavoro si sottolinea il “rilevante svantaggio” delle persone con disabilità in questo ambito, confermando le precedenti rilevazioni in cui si denunciava che “è occupato solo il 31,3% delle persone tra i 15 e i 64 anni con limitazioni gravi contro il 57,8% delle persone senza limitazioni, nella stessa fascia di età. Lo svantaggio è ancora più netto per la componente femminile – risulta occupata solo il 26,7% delle donne con disabilità mentre per i maschi la quota sale al 36,3% – uno scarto che ripropone le storiche differenze di genere nei livelli di occupazione”(2). La mancata partecipazione al mercato del lavoro, oltre ad avere inevitabili conseguenze economiche, determina anche isolamento e spesso preclude percorsi di autonomia, compromettendo lo sviluppo e il mantenimento delle relazioni sociali.
Osservazioni che valgono anche per la partecipazione al sistema educativo e scolastico dei bambini e ragazzi con disabilità (316.000, il 3,8% del totale(3)) che è spesso caratterizzata da interruzioni premature del percorso di formazione. Gli alunni con disabilità sono, infatti, il 4,8% nelle scuole del primo ciclo e solo il 3,1% nella scuola secondaria di secondo grado. Sempre in ambito scolastico un altro aspetto critico riguarda la presenza di barriere architettoniche: sul fronte delle barriere fisiche solamente una scuola su tre risulta accessibile, mentre per quanto riguarda le barriere sensoriali meno del 2% dispone di tutti gli ausili senso-percettivi necessari.
Nonostante la Convenzione Onu sui Diritti delle Persone con Disabilità ne richiami la centralità, l’accessibilità pare essere ancora lontana dal diventare “principio chiave per sostenere processi inclusivi e la piena partecipazione”, come ben dimostrano sia la situazione delle scuole, sia i gravi ritardi nel rispettare ed applicare le leggi vigenti, come nel caso della normativa sui Piani per l’Eliminazione delle Barriere Architettoniche (PEBA, l. 41/86), disattesa da quasi 40 anni su buona parte del territorio nazionale.
Un altro dato da prendere in seria considerazione è quello emerso nella Mappa dell’intolleranza online 2022, redatta da Vox-Osservatorio Italiano sui Diritti, secondo cui le persone con disabilità sono la seconda categoria più odiata via social, con un netto e grave aumento dei dati rispetto all’anno precedente, in un contesto in cui l’odio online si fa più intenso, con un evidente ruolo di alcuni mass media tradizionali nell’orientarlo e alimentarlo. L’odio e la violenza contro le persone con disabilità, però, non infestano solo i social, ma continuano ad attraversare la società con numerosi e gravi episodi di discriminazioni e aggressioni (peraltro sempre più spesso diffusi anche on line). In particolare l’odio, le discriminazioni e le violenze contro le donne con disabilità rappresentano un dramma nel dramma che nel 2022 è stato denunciato anche in una pubblicazione ministeriale(4) dell’Osservatorio per la Sicurezza contro gli atti discriminatori in cui si richiama la necessità di una prospettiva intersezionale nell’affrontare questo “fenomeno ancora più preoccupante in quanto le vittime, in quanto donne e persone con disabilità, subiscono una doppia discriminazione che le espone a ulteriori e particolari forme di violenza”. A volte, purtroppo, teatro delle violenze sono le strutture residenziali in cui le persone con disabilità sono ancora troppo spesso inserite “per la mancata riassegnazione di risorse economiche dagli istituti residenziali alla promozione e alla garanzia di accesso alla vita indipendente”(5). L’importanza della garanzia della Vita Indipendente e del correlato rafforzamento dei servizi a livello della comunità, è ampiamente ribadito nella Strategia europea per i diritti delle persone con disabilità 2021-2030(6): “Molte persone con disabilità sono isolate dalla vita della comunità e non hanno controllo della loro vita quotidiana, soprattutto coloro che vivono negli istituti. Tale situazione è determinata principalmente dalla insufficiente prestazione di servizi adeguati a livello della comunità, di sostegno tecnico e all'alloggio, nonché dalla limitata disponibilità di supporto per le famiglie e per l'assistenza personale”.
Purtroppo nonostante la ricchezza del quadro normativo “le persone con disabilità continuano a incontrare ostacoli nella loro partecipazione come membri eguali della società”. Ostacoli che il permanere di stereotipi, pregiudizi e barriere culturali rendono più ardui da superare. Se è necessario, quindi, dare piena ed effettiva attuazione al quadro normativo, continua, al contempo, ad essere importante e urgente l’avvio, come ammoniva Stefano Rodotà, di “una battaglia culturale, una pratica educativa, una tensione morale”(7), per la realizzazione di una società realmente inclusiva, in cui sia riconosciuto il valore del contributo di ciascunə e in cui siano garantiti la il pieno godimento dei diritti umani e delle libertà fondamentali per tuttə.
Raccomandazioni
- Assicurare l’esercizio del diritto alla vita indipendente e alla domiciliarità.
- Attivare processi di deistituzionalizzazione e di contrasto ad ogni forma di segregazione, anche attraverso l’utilizzo dei fondi specifici del PNRR (Investimento 1.2. Percorsi di autonomia per persone con disabilità);
- Garantire il rispetto del principio di autodeterminazione attraverso la partecipazione e la centralità della persona disabile nei percorsi che la riguardano.
Note
(1) - https://www.istat.it/it/archivio/271806
(2) - ISTAT, “Conoscere il mondo della disabilità: persone, relazioni e istituzioni”, Roma, 2019.
(3) - ISTAT, l’inclusione scolastica degli alunni con disabilità | a.s. 2021-2022, Roma 2022.
(4) - https://www.interno.gov.it/it/notizie/donne-disabilita-vittime-violenza-nel-report-oscad-fenomeno-poco-raccontato
(5) - Committee on the Rights of Persons with Disabilities, Concluding observations on the initial report of Italy, 2016
(6) - https://ec.europa.eu/social/main.jsp?catId=1484&langId=it
(7) - Rodotà Stefano, Il diritto di avere diritti, Laterza, Roma-Bari, 2012, pp. 228-229.
Gabriella Bertini
La diagnosi fu un fulmine a ciel sereno per Gabriella. Aveva solo 13 anni quando un’infezione, probabilmente una trombosi spinale, le intaccò il midollo osseo e la privò per sempre dell’utilizzo delle gambe. A 13 anni si è davvero troppo, troppo giovani per metabolizzare una notizia simile. Ma Gabriella era una ragazza forte, nata durante la guerra, in Toscana, e rimasta orfana di padre a 4 anni. Quella che poteva sembrare una sconfitta senza appello si trasformò per lei nel trampolino delle sue battaglie. Non si sarebbe accontentata di “subire” la vita, di fare quel poco che la società si aspettava facesse vista la sua disabilità. E così terminò gli studi e, a 18 anni, divenne la segretaria del professor Milani, che curava proprio un centro di riabilitazione pediatrico per bambini con gravi difficoltà motorie. Nel frattempo si entrava negli anni Sessanta, e si apriva un decennio di lotte e rivendicazioni. La sua lotta diventò la lotta di tutte le persone con disabilità, basata su una richiesta semplicissima: avere i mezzi per condurre la vita che si desidera, senza il peso di uno “svantaggio” dovuto più alla società circostante che alla disabilità. E così divenne famosa quando, nel 1965, acquistò un’automobile, appositamente modificata in modo tale da poter essere guidata senza l’utilizzo delle gambe. Fu la prima donna paraplegica a farne uso in Italia. La sua storia le diede notorietà, dicevamo, e le permise di portare avanti le sue battaglie con ancora più grinta.
Aveva un esempio chiaro e pratico di ciò che voleva: l’ospedale Stoke Mandeville, in Inghilterra, dove le persone paraplegiche venivano non solo curate, ma anche riabilitate al punto tale di poter lavorare e persino fare sport.
Un qualcosa di impensabile, al tempo, in Italia.
“Il programma del centro inglese era una realtà che dava speranza, faceva tornare la gioia di vivere, di muoversi, studiare, lottare”, dirà.
In poche parole Gabriella si rese conto che il suo sogno poteva essere una realtà. In mezzo c’era la lotta: arrivò ad occupare Piazza della Signoria, a Firenze, chiedendo che fosse rispettata la legge sul collocamento lavorativo delle persone con disabilità, ottenendo l’assunzione per ben 300 persone. I contatti con Stoke Mandeville, nel frattempo, le permisero di portare avanti l’implementazione di nuove forme di cura e riabilitazione anche in Toscana. Un progresso enorme in Italia, dove spesso le cure erano approssimative e si poteva morire anche per una piaga infetta. La sua lotta, Gabriella, la portò persino a casa sua, dove insieme al marito Giuseppe creò un vero e proprio centro senza barriere architettoniche: si poteva fare fisioterapia e riabilitazione, ma anche soltanto parlare e confrontarsi. A casa di Gabriella si poteva semplicemente vivere. La sua lotta continuerà sempre con scioperi della fame, occupazioni, manifestazioni, persino poesie. Terminò solo nella primavera del 2015, con la sua morte. Rimane viva, vivissima la sua eredità - pratica e morale - e la sua testimonianza riassumibile in tre parole: lotta, dignità e diritti.