Il 2023 e il 2024
Il decreto-legge 10 marzo 2023. n. 20 rappresenta il principale provvedimento in materia di diritto dell’immigrazione del 2023. Nonostante qualche novità positiva, le misure si pongono in sostanziale continuità con le politiche degli esecutivi precedenti, caratterizzate dall’assenza di una riforma complessiva del Testo unico sull’immigrazione (TUI), soprattutto per quanto riguarda i canali di ingressi regolari, e da provvedimenti di propaganda, come l’ennesima modifica in senso peggiorativo della protezione speciale.
Da un lato, si confermano le semplificazioni introdotte dal Governo Draghi per l’accesso immediato al mercato del lavoro a chi fa ingresso con il relativo visto, spesso condizionato dai noti ritardi degli Sportelli unici per l’immigrazione (SUI). Semplificazioni che, come vedremo nei paragrafi successivi, hanno prestato però il fianco a sfruttamento e ricattabilità. Inoltre, seppur con un provvedimento in deroga, è prevista la possibilità di adottare il documento di programmazione triennale per i flussi di ingresso nel periodo 2023-2025, non pubblicato in Gazzetta ufficiale dal 2004, che consente di aumentate il numero di quote di ingresso disponibili annualmente.
Dall’altro, anche questo esecutivo non è intervenuto per sanare la posizione delle persone già presenti in Italia in maniera irregolare, spesso in condizione di sfruttamento lavorativo o di emarginazione. La protezione speciale, unico canale di regolarizzazione per integrazione socio-lavorativa, è stata nuovamente modificata, ritornando alla formulazione del decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113 (cd. Decreto Salvini): un istituto la cui portata appare limitata e che determinerà nei prossimi anni lo scivolamento verso l’irregolarità di migliaia di persone, che non potranno più rinnovare il titolo di soggiorno. Allo stesso modo, scarsa se non nulla attenzione è stata prestata alla Regolarizzazione 2020: dopo 4 anni dall’avvio dei lavori, il numero di domande non ancora esaminate, a cui corrispondono vite e progetti di lavoratori e lavoratrici di origine straniera che hanno diritto a una risposta da parte della Pubblica amministrazione (PA), resta ancora preoccupante.
In questa sede, non si farà ricorso alla definizione informale del citato provvedimento: cd. “decreto Cutro”, poiché secondo chi scrive il contenuto delle disposizioni non ha nulla a che vedere con il salvataggio delle vite in mare, la tutela della dignità delle persone migranti e il contrasto a trafficanti e sfruttatori. Pertanto, il richiamo a una delle più drammatiche tragedie - sia per il numero di vittime che per le circostanze in cui è avvenuta - che si sono consumate al largo delle coste italiane, appare più come un cinico tentativo di strumentalizzazione della vicenda, a uso politico, che un genuino tentativo di limitare le morti in mare e combattere lo sfruttamento delle persone migranti.
La programmazione triennale dei flussi di ingresso 2023-2025
Senza riformare organicamente le norme che disciplinano la pianificazione degli ingressi, in particolare per motivi di lavoro, e le relative procedure, il decreto 20/2023 ritorna alla programmazione triennale dei flussi per il periodo 2023-2025.
Il Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri (DPCM) 27/9/2023 consente l’ingresso a 452.000 lavoratori e lavoratrici: 136.000 per il 2023, 151.000 per il 2024, 165.000 per il 2025.
Si registra un ulteriore aumento delle quote annuali che, tuttavia, non sembra in grado di soddisfare il numero di domande presentate nel 2023, pari a 580.000(1).
Parte delle quote potrà essere assegnata a lavoratori e lavoratrici di paesi che promuoveranno campagne mediatiche sui rischi derivanti dall’attraversamento irregolare delle frontiere. Il contenuto della disposizione, così come delle citate campagne, non è tutt’ora chiaro. È però evidente come azioni di questo tipo non produrranno risultati fin quando i canali di ingresso non saranno diversificati e implementati per rispondere alle esigenze delle persone che intendono spostarsi dal proprio paese.
Al di fuori delle quote saranno, o dovrebbero essere, gli ingressi riservati a cittadini e cittadine di paesi che hanno sottoscritto con l’Italia accordi di rimpatrio. Non è ancora stato adottato un atto che definisca meglio cosa si intenda per accordi e che alleghi una lista di questi stati, lasciando inutilizzato un canale di ingresso che invece potrebbe essere numericamente molto rilevante.
Per semplificare le procedure di ingresso e avvio dell’attività lavorativa, condizionate dai noti ritardi della PA, il decreto 20 introduce nel TUI una serie di misure già previste dal decreto-legge 21 giugno 2022, n. 73.
Il nulla osta, cioè l’autorizzazione all’assunzione e all’ingresso in Italia, consente di esercitare l’attività lavorativa anche in assenza della sottoscrizione del contratto di soggiorno che comprende il vero e proprio contratto di lavoro e una serie di impegni che il lavoratore o la lavoratrice ha il dovere di rispettare. Il contratto di soggiorno deve essere sottoscritto presso il SUI e contestualmente è inviata la richiesta di rilascio del permesso di soggiorno.
Bisogna però precisare che il nulla osta ha validità di sei mesi. Se non si provvede a concludere l’iter come appena descritto, la persona subentra in una condizione di irregolarità non sanabile in quanto non è prevista alcuna tutela. Questo meccanismo rischia di alimentare un sistema di sfruttamento e ricattabilità: il datore di lavoro, la figura attorno a cui ruota di fatto l’intera procedura, potrebbe chiedere un contributo economico per ultimare la procedura o addirittura avvalersi della prestazione lavorativa e, al termine della validità del nulla osta, non proseguire con il rapporto. Inoltre, la complessità della procedura ha incentivato la nascita di un florido mercato di figure intermediarie – tra cui agenzie che supportano i consolati per il rilascio dei visti - che non sempre operano in modo trasparente e nell’interesse di chi ha progettato di entrare in Italia regolarmente e per lavoro(2).
Ulteriori semplificazioni, già sperimentate in precedenza e ora inserite nel TUI, riguardano l’accertamento dei requisiti reddituali in capo al datore di lavoro, che possono essere attestati da organizzazioni datoriali o consulenti del lavoro. Anche in questo caso, è sempre importante che le autorità procedano agli opportuni controlli per prevenire e contrastare truffe e abusi. I controlli possono avvenire anche in seguito all’ingresso del lavoratore o della lavoratrice e comportano sanzioni per chi ha assunto e la revoca del permesso di soggiorno.
Per quanto riguarda il sistema dei flussi, le novità introdotte attraverso l’ultimo decreto, il 125/2024, semplificano alcuni aspetti della procedura e prevedono più ingressi e conversioni al di fuori del regime delle quote. Tuttavia qualsiasi miglioramento è reso vano dalle storture strutturali dell'intero sistema del Testo unico sull'immigrazione, di cui è necessario un superamento integrale. In particolare, occorrerebbe prevedere meno restrizioni per settori produttivi o nazionalità di lavoratori/lavoratrici che possono fare ingresso; assicurare maggiori tutele a lavoratori e lavoratrici che entrano regolarmente ma non riescono poi ad accedere al permesso di soggiorno, per cause loro non imputabili; prevedere ulteriori canali di ingresso per ricerca lavoro e sponsorship.
La protezione speciale tra propaganda e tutela delle persone straniere
Il decreto Piantedosi introduce un’ulteriore riformulazione del permesso di soggiorno per protezione speciale, emendato per la terza volta dal 2018, con l’evidente intenzione di limitarne la concessione.
Il riferimento alla tutela della vita privata e familiare, uno dei presupposti per il suo riconoscimento, è stato abrogato. Così come la possibilità di presentare istanza di rilascio direttamente al Questore, potendo quindi essere valutato solo durante la procedura di esame della domanda di protezione internazionale.
Il permesso continua ad avere durata biennale, non è più convertibile in permesso per lavoro ai sensi ed è rinnovabile fin quando permangono le condizioni che hanno determinato il primo rilascio.
Il Ministero dell’Interno non ha ancora pubblicato i dati relativi al 2023 ma nel periodo 2020-2022 risultano riconosciuti 18.714 permessi per protezione speciale(3).
È ragionevole supporre che, come accaduto con una riforma analoga da parte del cd. Decreto Salvini nel 2018, uno dei principali effetti sarà lo scivolamento verso una condizione di soggiorno irregolare di decine di migliaia di cittadini e cittadine di origine straniera, da cui difficilmente riusciranno a fuoriuscire. Una situazione che non si può in alcun modo conciliare con gli intenti, almeno sulla carta, di contrastare l’immigrazione irregolare, considerando che sono proprio le leggi dello Stato a incentivarla e alimentarla. La perdita di un titolo di soggiorno comporta un’importante compromissione dei diritti della persona straniera e ha anche un costo per la società particolarmente alto, escludendo una platea rilevante di persona dal contribuire al progresso economico, sociale e culturale delle comunità dove vivono e sono ormai radicate.
Il fallimento della Regolarizzazione 2020
Anche a causa dell’incremento di lavoratori e lavoratrici in condizione di irregolarità, e quindi di ricattabilità e sfruttamento, determinato in buona parte dalle storture della normativa, con il decreto-legge 34/2020 il Governo Draghi ha previsto la settima sanatoria dal 1990. Si tratta di un provvedimento eccezionale con cui una persona straniera può accedere a un permesso di soggiorno per lavoro, dimostrando di essere già impiegata irregolarmente ovvero di avere la disponibilità di un’offerta.
Data la miopia del Legislatore nazionale, che per ragioni prettamente politiche preferisce non riformulare il TUI integralmente o quantomeno la parte sull’ingresso e il soggiorno per lavoro, le sanatorie sono diventate, nella pratica, dei provvedimenti strutturali, correttivi e periodici.
Le domande di regolarizzazione potevano essere presentate dal primo giugno al quindi agosto 2020.
A distanza di ormai quasi 4 anni, come ampiamente prevedibile, il bilancio della Regolarizzazione 2020 è negativo. Su un totale di 207.870 istanze, a giugno 2023 171.414 sono quelle concluse, pari all’82%(4). Ci sono, quindi, ancora decine di migliaia di lavoratori e lavoratici in attesa di una risposta, confinate nel limbo e nell’incertezza dei ritardi strutturali della PA.
Una situazione critica che potrebbe essere risolta introducendo, finalmente, nel TUI un meccanismo di regolarizzazione per lavoro, su base individuale, in luogo di provvedimento eccezionali come la sanatoria, che consente l’immediato accesso alla domanda di rilascio del permesso di soggiorno.
Funzione che, in parte, ha assolto la protezione speciale fino all’ultima riforma ma che dovrebbe essere alternativo alla domanda di protezione internazionale e fondato sull’offerta di assunzione.
Una soluzione che potrebbe da un lato alleviare la forte pressione sul canale della domanda di protezione internazionale e dall’altro ridurre il numero di persone in condizione di soggiorno irregolare, con notevoli benefici per l’economia e il tessuto sociale del paese.
La presenza di cittadini e cittadine di origine straniera in Italia dal 2014
Secondo i dati più recenti, al 1 gennaio 2023, le persone straniere residenti in Italia sono circa 5 milioni, pari all’8,7% della popolazione, di cui 3.727.000 provengono da paesi non UE(5). Si tratta di una presenza abbastanza stabile dal 2014.
Il dato sulle presenze irregolari, pur di difficile analisi, sembra si attesti al di sotto del mezzo milione di unità, soglia raggiunta invece negli anni precedenti(6). La regolarizzazione 2020, i cui lavori proseguono ancora a distanza di 4 anni, sembra aver influito in maniera incisiva su questo aspetto.
Rispetto al soggiorno regolare, su cui come vedremo nei capitoli successivi ben poco è stato fatto in questi 10 anni, il bacino di irregolarità ha fortemente risentito delle novelle del Legislatore, soprattutto nel periodo 2018-2020.
Le limitazioni introdotte dal Decreto Salvini al riconoscimento di una forma di protezione statale, come il permesso per protezione speciale, e alla sua convertibilità, hanno contribuito notevolmente ad accrescere il numero di presenze irregolari: nel 2019, anno in cui si sono prodotti gli effetti più rilevanti delle nuove disposizioni, sono passate dall’8,7% al 9,4% sul totale della popolazione straniera, pari a circa 30.000 persone in poco più di un anno(7).
Il decreto Lamorgese ha parzialmente arginato una situazione che sarebbe potuta diventare ben più grave, con un’ulteriore riforma, più favorevole, della protezione speciale, che ha portato il numero di persone in condizione di soggiorno irregolare a circa 517.000 al 1 gennaio 2023(8), su cui ha sicuramente influito anche la sanatoria del 2020.
Il decreto Piantedosi del marzo 2023 ha fatto registrare un passo indietro, allineandosi maggiormente alle disposizioni del 2018: pertanto, nei prossimi anni è molto probabile che migliaia di cittadine e cittadini di paesi terzi torneranno in una condizione di irregolarità difficilmente sanabile.
Una panoramica degli ultimi dieci anni
Il Testo unico immigrazione negli ultimi 10 anni: tra esigenze reali e propaganda politica
Nonostante siano ormai noti le criticità e i limiti del TUI, dal 2013 non si rilevano particolari innovazioni.
Negli ultimi anni, il numero di permessi di soggiorno per motivi familiari è sempre stato superiore a quello dei permessi per lavoro. Che, tuttavia, nel biennio 2021-2022 sono stati rilasciati in misura maggiore rispetto all’intero periodo 2015-2020. Oltre il 72%, però, è frutto della sanatoria del 2020 e, quindi non nell’ambito dei visti di ingresso per lavoro(9).
L’attuale quadro normativo è, in realtà, il maggiore ostacolo alla riduzione degli ingressi e delle presenze irregolari: la pianificazione triennale e il decreto flussi non corrispondo più alle esigenze di lavoratori e lavoratrici di origine straniera che vogliono entrare in Italia e del mondo produttivo; allo stesso tempo, non esiste un meccanismo per regolarizzare il proprio soggiorno che non sia collegato alla domanda di protezione internazionale o a esigenze di carattere umanitario.
Solo nel 2023 c’è stata una parziale riforma del regime delle quote di ingresso e una nuova pianificazione triennale. Tutto questo, però, non sembra in alcun modo una soluzione efficace come una radicale riforma delle regole che disciplinano l’ingresso, soprattutto per motivi di lavoro.
Il modello delineato con il cd. Pacchetto Sicurezza del 2002 e rimasto sostanzialmente invariato, secondo cui la persona straniera deve essere assunta mentre si trova all’estero, non ammette altre vie di ingresso, per esempio per ricerca lavoro o attraverso la sponsorhip da parte di privati o organizzazioni, come invece inizialmente previsto nel 1998.
La rigidità del modello si scontra, poi, con una macchina amministrativa non in grado di esaminare le domande in tempi ragionevoli(10). E pur potenziando gli organici della PA, il problema non potrebbe essere risolto poiché storicamente le domande sono sempre maggiori delle quote messe a disposizione, seppur progressivamente aumentate dal 2021. Il ricorso a una procedura come quella del click day determina una vera e propria lotteria dei visti, poiché le domande vengono inoltrate e le quote sono assegnate secondo un meccanismo fortemente aleatorio e poco trasparente.
Nel corso degli anni, il decreto flussi sembra sia stato utilizzato soprattutto per regolarizzare lavoratori e lavoratrici già impiegati irregolarmente che dovevano rientrare nel paese di origine e aspettare la chiamata del datore di lavoro. Come evidenziato nei capitoli precedenti, le semplificazioni introdotte negli ultimi anni hanno anche avallato ulteriori dinamiche di sfruttamento e ricattabilità, andando a complicare uno scenario già preoccupante.
Invece, l’unico canale che sembra effettivamente funzionare è quello del lavoro stagionale ma, con ogni probabilità, solo perché mondo datoriale e personale straniero sono stati già in contatto o hanno già collaborato in precedenza.
Il grande assente nel TUI è altresì un meccanismo di regolarizzazione su base individuale. Attualmente, non vi sono soluzioni ad hoc, in particolare per lavoratori e lavoratrici. Chi soggiorna irregolarmente può presentare domanda di asilo, pur consapevole di non possedere i requisiti per il riconoscimento di una protezione internazionale, cercando di ottenere una forma di protezione residuale; oppure attendere un’altra sanatoria.
Proprio la sanatoria rappresenta un tratto distintivo delle politiche migratorie italiane. Si pensi che, dal 1998 al 2021, attraverso i decreti flussi sono arrivate in Italia 1,2 milioni di persone. Nel periodo 1990-2021, grazie a 7 sanatorie, sono 1.8 milioni i lavoratori e le lavoratrici che hanno avuto accesso a un titolo di soggiorno(11).
È evidente che l’attuale sistema generi o incentivi l’irregolarità che poi in qualche modo si tenta di sanare, con provvedimenti sporadici che, come già evidenziato, non sono esenti da criticità che comunque ne mettono a rischio il buon andamento.
Il permesso di soggiorno per motivi umanitari, l’attuale protezione speciale, è stato oggetto di ben tre revisioni da parte del Legislatore tra il 2018 e il 2023. L’istituto, previsto sin dal 1998 ma la cui portata si è ampliata e ristretta notevolmente negli anni, ha rappresentato l’unica possibilità di regolarizzare il soggiorno in Italia, anche per motivi di lavoro o di radicamento sul territorio.
Negli ultimi sei anni, le continue modifiche sul contenuto, la durata, la convertibilità in altri permessi e l’attribuzione alle Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale della competenza alla concessione, quindi sempre gravando sul circuito dell’asilo, hanno creato una situazione di precarietà alle persone in possesso di questo titolo e, nei casi peggiori, anche di riduzione all’irregolarità.
Proprio sul permesso per motivi umanitari è evidente la miopia politica del Legislatore in questi dieci anni, indipendentemente dal colore politico del Governo di turno.
In base a una narrazione volutamente distorta, la più recente propaganda ha sostenuto che tale tipo di permesso costituiva un’eccezione tutta italiana all’interno del contesto europeo e che venisse riconosciuta troppo facilmente.
Tuttavia, bisogna ricordare che almeno 21 Stati UE hanno una forma di protezione statale il cui contenuto a volte è più limitato della protezione speciale, a volte è sovrapponibile(12).
L’esigenza di dotarsi di ulteriori strumenti che tutelino una serie di situazioni non altrimenti coperte dallo status di rifugiato e dalla protezione sussidiaria è, quindi, ampiamente diffusa nell’Unione europea. E del resto, la tutela della vita privata e familiare, del diritto alla salute, la valorizzazione dei percorsi di radicamento sul territorio non sempre sono rilevanti per la protezione internazionale, i cui presupposti sono, a torto o ragione, abbastanza stringenti.
È evidente, però, che l’assenza di ulteriori canali di regolarizzazione per motivi specifici, su tutti il lavoro, non può non generare un appesantimento del circuito della protezione internazionale, proprio per una precisa scelga del Legislatore che, volendo all’apparenza semplificare e velocizzare i lavori della PA, non ha fatto altro che appesantirli e rallentarli.
Cittadinanza e apolidia: tra riforme mancate e diritti non riconosciuti
La legge che disciplina l’acquisizione della cittadinanza italiana è del 1992. Da allora, salvo due novità importanti introdotte nel 2013 e nel 2018, non si sono registrate particolari novità.
Eppure, nel 2015, la Camera dei deputati aveva approvato un interessante testo che, tra l’altro, prevedeva da un lato l’acquisizione per ius soli (minore nato in Italia da almeno un genitore titolare di permesso di soggiorno di lungo periodo) e dall’altro quella per ius culturae (partecipazione a un percorso di studio per almeno cinque anni). Tuttavia, circa tre anni dopo, la discussione in Senato si è arenata nel dicembre 2017, in prossimità con la conclusione della XVII Legislatura. Il dibattito su una proposta incentrata solo sullo ius scholae, depositata nel 2018, invece è bloccata in Parlamento dal 2022.
Sono solo questi i timidi tentativi di rinnovare un complesso di disposizioni ormai disallineato dalle esigenze di una società che, dopo più di 30 anni è ovviamente mutata radicalmente. Per una serie di beghe e calcoli di tipo politico, oltre un milione di ragazzi e ragazze che frequentano istituti scolastici in Italia non possono beneficiare della cittadinanza(13).
Per favorire l’accesso alla cittadinanza per beneficio di legge, cioè al compimento della maggiore età per persone nate in Italia e che vi abbiano risieduto continuativamente fino al diciottesimo anno, il decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 ha introdotto una semplificazione per l’esercizio del diritto. Ai e alle minorenni non potranno esser imputati eventuali inadempimenti amministrativi dei genitori, come l’ingresso o il soggiorno irregolare. Pertanto, dovrebbero dimostrare la permanenza sul territorio nazionale con ogni documentazione idonea (es.: certificati scolastici, libretti vaccinali), senza dover necessariamente essere in possesso di un titolo di soggiorno o passaporto, come invece previsto in altre modalità di acquisizione della cittadinanza. Una misura di buon senso che agevola chi proviene da una condizione di irregolarità non sanabile, anche per colpa dell’attuale normativa, come già ribadito.
Il decreto Salvini del 2018, invece, oltre ad aver aumentato il contributo da versare per l’istanza da €200 a €250 e tempi per la definizione della procedura fino a 48 mesi, ha introdotto nel nostro ordinamento l’istituto della revoca della cittadinanza. La norma, di fatto, ha creato una cittadinanza di serie A, di chi l’ha acquisita al momento della nascita e che non può subire la revoca; e una di serie B, cioè di chi l’ha acquisita in un momento successivo e che ne può essere privato dopo una condanna in via definitiva per reati particolarmente gravi in materia di terrorismo ed eversione. Pur comprendendo la necessità di tutelare la sicurezza della cosa pubblica, non si ravvisa, se non a pensar male, il motivo per tale distinzione. Per questo, la norma sembrerebbe non conciliarsi con il principio di uguaglianza sancito in Costituzione. Così come, non essendo ben definita in diritto la nozione di terrorismo, vi è il concreto rischio di revocare una cittadinanza anche per motivi politici, in violazione dell’art. 22 della Costituzione. Infine, non è prevista una clausola di salvaguardia per chi, dopo la revoca, resti senza un’altra cittadinanza, generando una condizione di apolidia, discostandosi dagli obblighi assunti con la ratifica dell’Italia nel 2015 della Convenzione sulla riduzione dell’apolidia.
A settembre 2024 è stata lanciata da alcuni parlamentari, associazioni e da italian* senza cittadinanza e nuove generazioni una raccolta firme online per un Referendum sulla cittadinanza. Il quesito referendario prevede la riduzione da 10 a 5 degli anni di residenza legale in Italia necessari per poter avanzare la domanda di cittadinanza italiana che, una volta ottenuta, sarebbe automaticamente trasmessa ai propri figli e alle proprie figlie minorenni. Il quesito referendario non risolve tutte le storture della Legge 91/1992 ma agevola il raggiungimento dei requisiti per presentare domanda di cittadinanza, con conseguente beneficio anche per figli e figlie minorenni di chi può presentare la richiesta, e rappresenterebbe una conquista per la vita di molt* cittadin* di origine straniera (secondo le stime si tratterebbe di circa 2.500.000 persone) che, in questo Paese, nascono, crescono, vivono, lavorano. In circa un mese, sono state raccolte oltre 600.000 firme online, un risultato straordinario, la prima raccolta firme online in Italia così partecipata.
E' molto importante che si sia registrata una mobilitazione così importante della società civile e che, finalmente, le associazioni di nuov* cittadin* o di italian* senza cittadinanza abbiamo avuto un ruolo cardine nella gestione della campagna.
Infine, sull’apolidia non si segnalano novità importanti: continua a mancare una normativa organica sulla procedura di accertamento e sulle garanzie collegate.
Attualmente, esiste ancora una disciplina non armonizzata che prevede un doppio canale: amministrativo, per chi sia in possesso di documenti relativi a nascita e residenza in Italia; e giudiziario, a cui si ricorre più facilmente per l’assenza di requisiti stringenti.
Al contrario della procedura di esame della domanda di protezione internazionale, non c’è una legge che disciplini le varie fasi della procedura e garantisca un titolo di soggiorno e l’esercizio dei diritti connessi (es. assistenza sanitaria, alloggio, accesso al mercato del lavoro) per chi chiede l’accertamento dello status di apolide.
Grazie però alle pronunce dei Tribunali, ormai è pacifico che chi fa domanda di riconoscimento dello status di apolide debba avere un permesso di soggiorno per la durata della definizione della procedura.
Secondo le stime più recenti, in Italia sarebbero presenti circa 3.000 persone a rischio apolidia, originaria soprattutto dell’Ex Jugoslavia(15). I permessi di soggiorno per apolidia rilasciati, quindi al termine della procedura, sono 609, secondo i dati ISTAT al 1 gennaio 2022(16). Tuttavia, è probabile che anche i e le titolari di un permesso ad altro titolo, soprattutto quelli che potevano essere richiesti senza l’esibizione di un passaporto come quelli per richiesta asilo, protezione internazionale e speciale, siano a rischio apolidia.
Altra considerazione, particolarmente rilevante, è la necessità di incentivare l’acquisizione della cittadinanza italiana a persona nate da genitori, dichiarati apolidi in un secondo momento.
L’attuale clausola di salvaguardia per la riduzione dell’apolidia, presente nella L. 91/1992, viene di norma applicata solo nel caso in cui lo status venga riconosciuto prima della nascita. Tuttavia, una certa giurisprudenza, che sta prendendo piede, ribadisce la legittimità dell’acquisizione della cittadinanza italiana anche in un momento successivo.
Abbracciare questa interpretazione della norma consentirebbe di bloccare la trasmissione dell’apolidia da parte dei genitori, rendendo automatico, e quindi più agevole, l’accesso alla nazionalità.
In ogni caso, i dati dimostrano come sia necessario incentivare il ricorso alle procedure di accertamento dello status di apolide.
Raccomandazioni
- Riformare strutturalmente i canali di ingresso regolari. In particolare, superare il sistema dei decreti flussi introducendo una programmazione maggiormente flessibile, senza limitare l’assegnazione delle quote a determinate nazionalità e con la possibilità di inoltrare la domanda liberamente in qualsiasi momento dell’anno;
- Introdurre i canali di ingresso per sponsorship pubblica o privata e per ricerca lavoro, al fine di consentire l’ingresso sul territorio nazionale a persone straniere che intendano poi stabilirsi in Italia, previe opportune garanzie da dimostrare;
- Abrogare ogni riferimento al contratto di soggiorno e velocizzare le procedure per la richiesta e il rilascio di quote, visti e permessi di soggiorno per lavoro nell’ambito della procedura dei decreti flussi e degli appositi canali di ingresso, per consentire a chi assume e a lavoratori e lavoratici di essere impiegate regolarmente nel minor tempo possibile;
- Potenziare i controlli sull’andamento della procedura di ingresso e richiesta del titolo di soggiorno, per prevenire eventuali truffe o dinamiche di sfruttamento a danno di lavoratori e lavoratrici di origine straniera;
- Introdurre una clausola di salvaguardia nel TUI per il rilascio di un permesso di soggiorno per attesa occupazione a lavoratori e lavoratrici che, una volta sul territorio nazionale, non possono finalizzare la procedura e accedere a un permesso per lavoro per cause loro non imputabili (es. morte o irreperibilità del datore o della datrice; fallimento dell’azienda);
- Inserire nel TUI un meccanismo di regolarizzazione su base individuale per la persona straniera che seppur sprovvista di permesso di soggiorno sia destinataria di un’offerta di lavoro o dimostri di essersi radicata sul territorio;
- Modificare la Legge sulla cittadinanza, introducendo il principio dello ius soli;
- Approvare una legge organica sull’apolidia, che disciplini la procedura, le garanzie durante l’esame della domanda e i diritti connessi;
- Rendere automatica l’acquisizione della cittadinanza italiana a persone figlie di genitori apolidi, quando il riconoscimento dell’apolidia sia avvenuto successivamente alla nascita.
Note
(1) - Campagna Ero Straniero, I veri numeri del decreto flussi: un sistema che continua a creare irregolarità, maggio 2023.
(2) - F. De Blasis, P. Bonizzoni, Verso una nuova apertura alle migrazioni per motivi di lavoro? Intermediazione, rischio di frode e limbo legale nella lotteria del decreto flussi, maggio 2024.
(3) - Fonte: Ministero dell’Interno, Confronto dati anno 2020 – 2021 e Confronto dati anno 2021 - 2022
(4) - Campagna Ero Straniero, nota stampa, novembre 2023.
(5) - Fonte: ISTAT.
(6) - Fondazione ISMU ETS, Ventinovesimo Rapporto sulle migrazioni 2023, febbraio 2024.
(7) - Vedi nota 6.
(8) - Vedi nota 6.
(9) - Fonte: ISTAT
(10) - Vedi nota 1.
(11) - Fonte: Fondazione Leone Moressa
(12) - European migration network, Comparative overview of national protection statuses in EU and Norway – EMN synthesis report for EMN study 2019, 2020.
(13) - Fonte: Openpolis
(14) - Vedi nota 6.
(15) - Fonte: Tavolo Apolidia
(16) - European network on statelessness, Statelessness index 2023
IMMIGRAZIONE E INTEGRAZIONE
Francesco Damiano Portoghese
A che punto siamo?
Il decreto-legge 10 marzo 2023. n. 20, rappresenta il principale provvedimento in materia di diritto dell’immigrazione del 2023. Nonostante qualche novità positiva, le misure si pongono in sostanziale continuità con le politiche degli esecutivi precedenti, caratterizzate dall’assenza di una riforma complessiva del Testo unico sull’immigrazione (TUI), soprattutto per quanto riguarda i canali di ingressi regolari, e da provvedimenti di propaganda, come l’ennesima modifica in senso peggiorativo della protezione speciale.
Da un lato, si confermano le semplificazioni introdotte dal Governo Draghi per l’accesso immediato al mercato del lavoro a chi fa ingresso con il relativo visto, spesso condizionato dai noti ritardi degli Sportelli unici per l’immigrazione (SUI). Semplificazioni che, come vedremo nei paragrafi successivi, hanno prestato però il fianco a sfruttamento e ricattabilità. Inoltre, seppur con un provvedimento in deroga, è prevista la possibilità di adottare il documento di programmazione triennale per i flussi di ingresso nel periodo 2023-2025, non pubblicato in Gazzetta ufficiale dal 2004, che consente di aumentate il numero di quote di ingresso disponibili annualmente.
Dall’altro, anche questo esecutivo non è intervenuto per sanare la posizione delle persone già presenti in Italia in maniera irregolare, spesso in condizione di sfruttamento lavorativo o di emarginazione. La protezione speciale, unico canale di regolarizzazione per integrazione socio-lavorativa, è stata nuovamente modificata, ritornando alla formulazione del decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113 (cd. Decreto Salvini): un istituto la cui portata appare limitata e che determinerà nei prossimi anni lo scivolamento verso l’irregolarità di migliaia di persone, che non potranno più rinnovare il titolo di soggiorno. Allo stesso modo, scarsa se non nulla attenzione è stata prestata alla Regolarizzazione 2020: dopo 4 anni dall’avvio dei lavori, il numero di domande non ancora esaminate, a cui corrispondono vite e progetti di lavoratori e lavoratrici di origine straniera che hanno diritto a una risposta da parte della Pubblica amministrazione (PA), resta ancora preoccupante.
In questa sede, non si farà ricorso alla definizione informale del citato provvedimento: cd. “decreto Cutro”, poiché secondo chi scrive il contenuto delle disposizioni non ha nulla a che vedere con il salvataggio delle vite in mare, la tutela della dignità delle persone migranti e il contrasto a trafficanti e sfruttatori. Pertanto, il richiamo a una delle più drammatiche tragedie - sia per il numero di vittime che per le circostanze in cui è avvenuta - che si sono consumate al largo delle coste italiane, appare più come un cinico tentativo di strumentalizzazione della vicenda, a uso politico, che un genuino tentativo di limitare le morti in mare e combattere lo sfruttamento delle persone migranti.
La programmazione triennale dei flussi di ingresso 2023-2025
Senza riformare organicamente le norme che disciplinano la pianificazione degli ingressi, in particolare per motivi di lavoro, e le relative procedure, il decreto 20/2023 ritorna alla programmazione triennale dei flussi per il periodo 2023-2025.
Il Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri (DPCM) 27/9/2023 consente l’ingresso a 452.000 lavoratori e lavoratrici: 136.000 per il 2023, 151.000 per il 2024, 165.000 per il 2025.
Si registra un ulteriore aumento delle quote annuali che, tuttavia, non sembra in grado di soddisfare il numero di domande presentate nel 2023, pari a 580.000(1).
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Parte delle quote potrà essere assegnata a lavoratori e lavoratrici di paesi che promuoveranno campagne mediatiche sui rischi derivanti dall’attraversamento irregolare delle frontiere. Il contenuto della disposizione, così come delle citate campagne, non è tutt’ora chiaro. È però evidente come azioni di questo tipo non produrranno risultati fin quando i canali di ingresso non saranno diversificati e implementati per rispondere alle esigenze delle persone che intendono spostarsi dal proprio paese.
Al di fuori delle quote saranno, o dovrebbero essere, gli ingressi riservati a cittadini e cittadine di paesi che hanno sottoscritto con l’Italia accordi di rimpatrio. Non è ancora stato adottato un atto che definisca meglio cosa si intenda per accordi e che alleghi una lista di questi stati, lasciando inutilizzato un canale di ingresso che invece potrebbe essere numericamente molto rilevante.
Per semplificare le procedure di ingresso e avvio dell’attività lavorativa, condizionate dai noti ritardi della PA, il decreto 20 introduce nel TUI una serie di misure già previste dal decreto-legge 21 giugno 2022, n. 73.
Il nulla osta, cioè l’autorizzazione all’assunzione e all’ingresso in Italia, consente di esercitare l’attività lavorativa anche in assenza della sottoscrizione del contratto di soggiorno che comprende il vero e proprio contratto di lavoro e una serie di impegni che il lavoratore o la lavoratrice ha il dovere di rispettare. Il contratto di soggiorno deve essere sottoscritto presso il SUI e contestualmente è inviata la richiesta di rilascio del permesso di soggiorno.
Bisogna però precisare che il nulla osta ha validità di sei mesi. Se non si provvede a concludere l’iter come appena descritto, la persona subentra in una condizione di irregolarità non sanabile in quanto non è prevista alcuna tutela. Questo meccanismo rischia di alimentare un sistema di sfruttamento e ricattabilità: il datore di lavoro, la figura attorno a cui ruota di fatto l’intera procedura, potrebbe chiedere un contributo economico per ultimare la procedura o addirittura avvalersi della prestazione lavorativa e, al termine della validità del nulla osta, non proseguire con il rapporto. Inoltre, la complessità della procedura ha incentivato la nascita di un florido mercato di figure intermediarie – tra cui agenzie che supportano i consolati per il rilascio dei visti - che non sempre operano in modo trasparente e nell’interesse di chi ha progettato di entrare in Italia regolarmente e per lavoro(2).
Ulteriori semplificazioni, già sperimentate in precedenza e ora inserite nel TUI, riguardano l’accertamento dei requisiti reddituali in capo al datore di lavoro, che possono essere attestati da organizzazioni datoriali o consulenti del lavoro. Anche in questo caso, è sempre importante che le autorità procedano agli opportuni controlli per prevenire e contrastare truffe e abusi. I controlli possono avvenire anche in seguito all’ingresso del lavoratore o della lavoratrice e comportano sanzioni per chi ha assunto e la revoca del permesso di soggiorno.
Per quanto riguarda il sistema dei flussi, le novità introdotte attraverso l’ultimo decreto, il 125/2024, semplificano alcuni aspetti della procedura e prevedono più ingressi e conversioni al di fuori del regime delle quote. Tuttavia qualsiasi miglioramento è reso vano dalle storture strutturali dell'intero sistema del Testo unico sull'immigrazione, di cui è necessario un superamento integrale. In particolare, occorrerebbe prevedere meno restrizioni per settori produttivi o nazionalità di lavoratori/lavoratrici che possono fare ingresso; assicurare maggiori tutele a lavoratori e lavoratrici che entrano regolarmente ma non riescono poi ad accedere al permesso di soggiorno, per cause loro non imputabili; prevedere ulteriori canali di ingresso per ricerca lavoro e sponsorship.
La protezione speciale tra propaganda e tutela delle persone straniere
Il decreto Piantedosi introduce un’ulteriore riformulazione del permesso di soggiorno per protezione speciale, emendato per la terza volta dal 2018, con l’evidente intenzione di limitarne la concessione.
Il riferimento alla tutela della vita privata e familiare, uno dei presupposti per il suo riconoscimento, è stato abrogato. Così come la possibilità di presentare istanza di rilascio direttamente al Questore, potendo quindi essere valutato solo durante la procedura di esame della domanda di protezione internazionale.
Il permesso continua ad avere durata biennale, non è più convertibile in permesso per lavoro ai sensi ed è rinnovabile fin quando permangono le condizioni che hanno determinato il primo rilascio.
Il Ministero dell’Interno non ha ancora pubblicato i dati relativi al 2023 ma nel periodo 2020-2022 risultano riconosciuti 18.714 permessi per protezione speciale(3).
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È ragionevole supporre che, come accaduto con una riforma analoga da parte del cd. Decreto Salvini nel 2018, uno dei principali effetti sarà lo scivolamento verso una condizione di soggiorno irregolare di decine di migliaia di cittadini e cittadine di origine straniera, da cui difficilmente riusciranno a fuoriuscire. Una situazione che non si può in alcun modo conciliare con gli intenti, almeno sulla carta, di contrastare l’immigrazione irregolare, considerando che sono proprio le leggi dello Stato a incentivarla e alimentarla. La perdita di un titolo di soggiorno comporta un’importante compromissione dei diritti della persona straniera e ha anche un costo per la società particolarmente alto, escludendo una platea rilevante di persona dal contribuire al progresso economico, sociale e culturale delle comunità dove vivono e sono ormai radicate.
Il fallimento della Regolarizzazione 2020
Anche a causa dell’incremento di lavoratori e lavoratrici in condizione di irregolarità, e quindi di ricattabilità e sfruttamento, determinato in buona parte dalle storture della normativa, con il decreto-legge 34/2020 il Governo Draghi ha previsto la settima sanatoria dal 1990. Si tratta di un provvedimento eccezionale con cui una persona straniera può accedere a un permesso di soggiorno per lavoro, dimostrando di essere già impiegata irregolarmente ovvero di avere la disponibilità di un’offerta.
Data la miopia del Legislatore nazionale, che per ragioni prettamente politiche preferisce non riformulare il TUI integralmente o quantomeno la parte sull’ingresso e il soggiorno per lavoro, le sanatorie sono diventate, nella pratica, dei provvedimenti strutturali, correttivi e periodici.
Le domande di regolarizzazione potevano essere presentate dal primo giugno al quindi agosto 2020.
A distanza di ormai quasi 4 anni, come ampiamente prevedibile, il bilancio della Regolarizzazione 2020 è negativo. Su un totale di 207.870 istanze, a giugno 2023 171.414 sono quelle concluse, pari all’82%(4). Ci sono, quindi, ancora decine di migliaia di lavoratori e lavoratici in attesa di una risposta, confinate nel limbo e nell’incertezza dei ritardi strutturali della PA.
Una situazione critica che potrebbe essere risolta introducendo, finalmente, nel TUI un meccanismo di regolarizzazione per lavoro, su base individuale, in luogo di provvedimento eccezionali come la sanatoria, che consente l’immediato accesso alla domanda di rilascio del permesso di soggiorno.
Funzione che, in parte, ha assolto la protezione speciale fino all’ultima riforma ma che dovrebbe essere alternativo alla domanda di protezione internazionale e fondato sull’offerta di assunzione.
Una soluzione che potrebbe da un lato alleviare la forte pressione sul canale della domanda di protezione internazionale e dall’altro ridurre il numero di persone in condizione di soggiorno irregolare, con notevoli benefici per l’economia e il tessuto sociale del paese.
La presenza di cittadini e cittadine di origine straniera in Italia dal 2014
Secondo i dati più recenti, al 1 gennaio 2023, le persone straniere residenti in Italia sono circa 5 milioni, pari all’8,7% della popolazione, di cui 3.727.000 provengono da paesi non UE(5). Si tratta di una presenza abbastanza stabile dal 2014.
Il dato sulle presenze irregolari, pur di difficile analisi, sembra si attesti al di sotto del mezzo milione di unità, soglia raggiunta invece negli anni precedenti(6). La regolarizzazione 2020, i cui lavori proseguono ancora a distanza di 4 anni, sembra aver influito in maniera incisiva su questo aspetto.
Rispetto al soggiorno regolare, su cui come vedremo nei capitoli successivi ben poco è stato fatto in questi 10 anni, il bacino di irregolarità ha fortemente risentito delle novelle del Legislatore, soprattutto nel periodo 2018-2020.
Le limitazioni introdotte dal Decreto Salvini al riconoscimento di una forma di protezione statale, come il permesso per protezione speciale, e alla sua convertibilità, hanno contribuito notevolmente ad accrescere il numero di presenze irregolari: nel 2019, anno in cui si sono prodotti gli effetti più rilevanti delle nuove disposizioni, sono passate dall’8,7% al 9,4% sul totale della popolazione straniera, pari a circa 30.000 persone in poco più di un anno(7).
Il decreto Lamorgese ha parzialmente arginato una situazione che sarebbe potuta diventare ben più grave, con un’ulteriore riforma, più favorevole, della protezione speciale, che ha portato il numero di persone in condizione di soggiorno irregolare a circa 517.000 al 1 gennaio 2023(8), su cui ha sicuramente influito anche la sanatoria del 2020.
Il decreto Piantedosi del marzo 2023 ha fatto registrare un passo indietro, allineandosi maggiormente alle disposizioni del 2018: pertanto, nei prossimi anni è molto probabile che migliaia di cittadine e cittadini di paesi terzi torneranno in una condizione di irregolarità difficilmente sanabile.
Il Testo unico immigrazione negli ultimi 10 anni: tra esigenze reali e propaganda politica
Nonostante siano ormai noti le criticità e i limiti del TUI, dal 2013 non si rilevano particolari innovazioni.
Negli ultimi anni, il numero di permessi di soggiorno per motivi familiari è sempre stato superiore a quello dei permessi per lavoro. Che, tuttavia, nel biennio 2021-2022 sono stati rilasciati in misura maggiore rispetto all’intero periodo 2015-2020. Oltre il 72%, però, è frutto della sanatoria del 2020 e, quindi non nell’ambito dei visti di ingresso per lavoro(9).
L’attuale quadro normativo è, in realtà, il maggiore ostacolo alla riduzione degli ingressi e delle presenze irregolari: la pianificazione triennale e il decreto flussi non corrispondo più alle esigenze di lavoratori e lavoratrici di origine straniera che vogliono entrare in Italia e del mondo produttivo; allo stesso tempo, non esiste un meccanismo per regolarizzare il proprio soggiorno che non sia collegato alla domanda di protezione internazionale o a esigenze di carattere umanitario.
Solo nel 2023 c’è stata una parziale riforma del regime delle quote di ingresso e una nuova pianificazione triennale. Tutto questo, però, non sembra in alcun modo una soluzione efficace come una radicale riforma delle regole che disciplinano l’ingresso, soprattutto per motivi di lavoro.
Il modello delineato con il cd. Pacchetto Sicurezza del 2002 e rimasto sostanzialmente invariato, secondo cui la persona straniera deve essere assunta mentre si trova all’estero, non ammette altre vie di ingresso, per esempio per ricerca lavoro o attraverso la sponsorhip da parte di privati o organizzazioni, come invece inizialmente previsto nel 1998.
La rigidità del modello si scontra, poi, con una macchina amministrativa non in grado di esaminare le domande in tempi ragionevoli(10). E pur potenziando gli organici della PA, il problema non potrebbe essere risolto poiché storicamente le domande sono sempre maggiori delle quote messe a disposizione, seppur progressivamente aumentate dal 2021. Il ricorso a una procedura come quella del click day determina una vera e propria lotteria dei visti, poiché le domande vengono inoltrate e le quote sono assegnate secondo un meccanismo fortemente aleatorio e poco trasparente.
Nel corso degli anni, il decreto flussi sembra sia stato utilizzato soprattutto per regolarizzare lavoratori e lavoratrici già impiegati irregolarmente che dovevano rientrare nel paese di origine e aspettare la chiamata del datore di lavoro. Come evidenziato nei capitoli precedenti, le semplificazioni introdotte negli ultimi anni hanno anche avallato ulteriori dinamiche di sfruttamento e ricattabilità, andando a complicare uno scenario già preoccupante.
Invece, l’unico canale che sembra effettivamente funzionare è quello del lavoro stagionale ma, con ogni probabilità, solo perché mondo datoriale e personale straniero sono stati già in contatto o hanno già collaborato in precedenza.
Il grande assente nel TUI è altresì un meccanismo di regolarizzazione su base individuale. Attualmente, non vi sono soluzioni ad hoc, in particolare per lavoratori e lavoratrici. Chi soggiorna irregolarmente può presentare domanda di asilo, pur consapevole di non possedere i requisiti per il riconoscimento di una protezione internazionale, cercando di ottenere una forma di protezione residuale; oppure attendere un’altra sanatoria.
Proprio la sanatoria rappresenta un tratto distintivo delle politiche migratorie italiane. Si pensi che, dal 1998 al 2021, attraverso i decreti flussi sono arrivate in Italia 1,2 milioni di persone. Nel periodo 1990-2021, grazie a 7 sanatorie, sono 1.8 milioni i lavoratori e le lavoratrici che hanno avuto accesso a un titolo di soggiorno(11).
È evidente che l’attuale sistema generi o incentivi l’irregolarità che poi in qualche modo si tenta di sanare, con provvedimenti sporadici che, come già evidenziato, non sono esenti da criticità che comunque ne mettono a rischio il buon andamento.
Il permesso di soggiorno per motivi umanitari, l’attuale protezione speciale, è stato oggetto di ben tre revisioni da parte del Legislatore tra il 2018 e il 2023. L’istituto, previsto sin dal 1998 ma la cui portata si è ampliata e ristretta notevolmente negli anni, ha rappresentato l’unica possibilità di regolarizzare il soggiorno in Italia, anche per motivi di lavoro o di radicamento sul territorio.
Negli ultimi sei anni, le continue modifiche sul contenuto, la durata, la convertibilità in altri permessi e l’attribuzione alle Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale della competenza alla concessione, quindi sempre gravando sul circuito dell’asilo, hanno creato una situazione di precarietà alle persone in possesso di questo titolo e, nei casi peggiori, anche di riduzione all’irregolarità.
Proprio sul permesso per motivi umanitari è evidente la miopia politica del Legislatore in questi dieci anni, indipendentemente dal colore politico del Governo di turno.
In base a una narrazione volutamente distorta, la più recente propaganda ha sostenuto che tale tipo di permesso costituiva un’eccezione tutta italiana all’interno del contesto europeo e che venisse riconosciuta troppo facilmente.
Tuttavia, bisogna ricordare che almeno 21 Stati UE hanno una forma di protezione statale il cui contenuto a volte è più limitato della protezione speciale, a volte è sovrapponibile(12).
L’esigenza di dotarsi di ulteriori strumenti che tutelino una serie di situazioni non altrimenti coperte dallo status di rifugiato e dalla protezione sussidiaria è, quindi, ampiamente diffusa nell’Unione europea. E del resto, la tutela della vita privata e familiare, del diritto alla salute, la valorizzazione dei percorsi di radicamento sul territorio non sempre sono rilevanti per la protezione internazionale, i cui presupposti sono, a torto o ragione, abbastanza stringenti.
È evidente, però, che l’assenza di ulteriori canali di regolarizzazione per motivi specifici, su tutti il lavoro, non può non generare un appesantimento del circuito della protezione internazionale, proprio per una precisa scelga del Legislatore che, volendo all’apparenza semplificare e velocizzare i lavori della PA, non ha fatto altro che appesantirli e rallentarli.
Cittadinanza e apolidia: tra riforme mancate e diritti non riconosciuti
La legge che disciplina l’acquisizione della cittadinanza italiana è del 1992. Da allora, salvo due novità importanti introdotte nel 2013 e nel 2018, non si sono registrate particolari novità.
Eppure, nel 2015, la Camera dei deputati aveva approvato un interessante testo che, tra l’altro, prevedeva da un lato l’acquisizione per ius soli (minore nato in Italia da almeno un genitore titolare di permesso di soggiorno di lungo periodo) e dall’altro quella per ius culturae (partecipazione a un percorso di studio per almeno cinque anni). Tuttavia, circa tre anni dopo, la discussione in Senato si è arenata nel dicembre 2017, in prossimità con la conclusione della XVII Legislatura. Il dibattito su una proposta incentrata solo sullo ius scholae, depositata nel 2018, invece è bloccata in Parlamento dal 2022.
Sono solo questi i timidi tentativi di rinnovare un complesso di disposizioni ormai disallineato dalle esigenze di una società che, dopo più di 30 anni è ovviamente mutata radicalmente. Per una serie di beghe e calcoli di tipo politico, oltre un milione di ragazzi e ragazze che frequentano istituti scolastici in Italia non possono beneficiare della cittadinanza(13).
Per favorire l’accesso alla cittadinanza per beneficio di legge, cioè al compimento della maggiore età per persone nate in Italia e che vi abbiano risieduto continuativamente fino al diciottesimo anno, il decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 ha introdotto una semplificazione per l’esercizio del diritto. Ai e alle minorenni non potranno esser imputati eventuali inadempimenti amministrativi dei genitori, come l’ingresso o il soggiorno irregolare. Pertanto, dovrebbero dimostrare la permanenza sul territorio nazionale con ogni documentazione idonea (es.: certificati scolastici, libretti vaccinali), senza dover necessariamente essere in possesso di un titolo di soggiorno o passaporto, come invece previsto in altre modalità di acquisizione della cittadinanza. Una misura di buon senso che agevola chi proviene da una condizione di irregolarità non sanabile, anche per colpa dell’attuale normativa, come già ribadito.
Il decreto Salvini del 2018, invece, oltre ad aver aumentato il contributo da versare per l’istanza da €200 a €250 e tempi per la definizione della procedura fino a 48 mesi, ha introdotto nel nostro ordinamento l’istituto della revoca della cittadinanza. La norma, di fatto, ha creato una cittadinanza di serie A, di chi l’ha acquisita al momento della nascita e che non può subire la revoca; e una di serie B, cioè di chi l’ha acquisita in un momento successivo e che ne può essere privato dopo una condanna in via definitiva per reati particolarmente gravi in materia di terrorismo ed eversione. Pur comprendendo la necessità di tutelare la sicurezza della cosa pubblica, non si ravvisa, se non a pensar male, il motivo per tale distinzione. Per questo, la norma sembrerebbe non conciliarsi con il principio di uguaglianza sancito in Costituzione. Così come, non essendo ben definita in diritto la nozione di terrorismo, vi è il concreto rischio di revocare una cittadinanza anche per motivi politici, in violazione dell’art. 22 della Costituzione. Infine, non è prevista una clausola di salvaguardia per chi, dopo la revoca, resti senza un’altra cittadinanza, generando una condizione di apolidia, discostandosi dagli obblighi assunti con la ratifica dell’Italia nel 2015 della Convenzione sulla riduzione dell’apolidia.
In conclusione, bisogna evidenziare che dal 2013 al 2022, si registrano quasi 1 milione e mezzo di cittadinanze concesse o acquisite, con una variazione del 76%(14).
Quindi, nonostante una legge evidentemente anacronistica, l’aumento della presenza di persone straniere, il loro radicamento sul territorio e la nascita di ormai tre nuove generazioni, stanno determinando un lento ma significativo incremento di nuove cittadinanze.
A settembre 2024 è stata lanciata da alcuni parlamentari, associazioni e da italian* senza cittadinanza e nuove generazioni una raccolta firme online per un Referendum sulla cittadinanza. Il quesito referendario prevede la riduzione da 10 a 5 degli anni di residenza legale in Italia necessari per poter avanzare la domanda di cittadinanza italiana che, una volta ottenuta, sarebbe automaticamente trasmessa ai propri figli e alle proprie figlie minorenni. Il quesito referendario non risolve tutte le storture della Legge 91/1992 ma agevola il raggiungimento dei requisiti per presentare domanda di cittadinanza, con conseguente beneficio anche per figli e figlie minorenni di chi può presentare la richiesta, e rappresenterebbe una conquista per la vita di molt* cittadin* di origine straniera (secondo le stime si tratterebbe di circa 2.500.000 persone) che, in questo Paese, nascono, crescono, vivono, lavorano. In circa un mese, sono state raccolte oltre 600.000 firme online, un risultato straordinario, la prima raccolta firme online in Italia così partecipata.
E' molto importante che si sia registrata una mobilitazione così importante della società civile e che, finalmente, le associazioni di nuov* cittadin* o di italian* senza cittadinanza abbiamo avuto un ruolo cardine nella gestione della campagna.
Infine, sull’apolidia non si segnalano novità importanti: continua a mancare una normativa organica sulla procedura di accertamento e sulle garanzie collegate.
Attualmente, esiste ancora una disciplina non armonizzata che prevede un doppio canale: amministrativo, per chi sia in possesso di documenti relativi a nascita e residenza in Italia; e giudiziario, a cui si ricorre più facilmente per l’assenza di requisiti stringenti.
Al contrario della procedura di esame della domanda di protezione internazionale, non c’è una legge che disciplini le varie fasi della procedura e garantisca un titolo di soggiorno e l’esercizio dei diritti connessi (es. assistenza sanitaria, alloggio, accesso al mercato del lavoro) per chi chiede l’accertamento dello status di apolide.
Grazie però alle pronunce dei Tribunali, ormai è pacifico che chi fa domanda di riconoscimento dello status di apolide debba avere un permesso di soggiorno per la durata della definizione della procedura.
Secondo le stime più recenti, in Italia sarebbero presenti circa 3.000 persone a rischio apolidia, originaria soprattutto dell’Ex Jugoslavia(15). I permessi di soggiorno per apolidia rilasciati, quindi al termine della procedura, sono 609, secondo i dati ISTAT al 1 gennaio 2022(16). Tuttavia, è probabile che anche i e le titolari di un permesso ad altro titolo, soprattutto quelli che potevano essere richiesti senza l’esibizione di un passaporto come quelli per richiesta asilo, protezione internazionale e speciale, siano a rischio apolidia.
Altra considerazione, particolarmente rilevante, è la necessità di incentivare l’acquisizione della cittadinanza italiana a persona nate da genitori, dichiarati apolidi in un secondo momento.
L’attuale clausola di salvaguardia per la riduzione dell’apolidia, presente nella L. 91/1992, viene di norma applicata solo nel caso in cui lo status venga riconosciuto prima della nascita. Tuttavia, una certa giurisprudenza, che sta prendendo piede, ribadisce la legittimità dell’acquisizione della cittadinanza italiana anche in un momento successivo.
Abbracciare questa interpretazione della norma consentirebbe di bloccare la trasmissione dell’apolidia da parte dei genitori, rendendo automatico, e quindi più agevole, l’accesso alla nazionalità.
In ogni caso, i dati dimostrano come sia necessario incentivare il ricorso alle procedure di accertamento dello status di apolide.
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Raccomandazioni
- Riformare strutturalmente i canali di ingresso regolari. In particolare, superare il sistema dei decreti flussi introducendo una programmazione maggiormente flessibile, senza limitare l’assegnazione delle quote a determinate nazionalità e con la possibilità di inoltrare la domanda liberamente in qualsiasi momento dell’anno;
- Introdurre i canali di ingresso per sponsorship pubblica o privata e per ricerca lavoro, al fine di consentire l’ingresso sul territorio nazionale a persone straniere che intendano poi stabilirsi in Italia, previe opportune garanzie da dimostrare;
- Abrogare ogni riferimento al contratto di soggiorno e velocizzare le procedure per la richiesta e il rilascio di quote, visti e permessi di soggiorno per lavoro nell’ambito della procedura dei decreti flussi e degli appositi canali di ingresso, per consentire a chi assume e a lavoratori e lavoratici di essere impiegate regolarmente nel minor tempo possibile;
- Potenziare i controlli sull’andamento della procedura di ingresso e richiesta del titolo di soggiorno, per prevenire eventuali truffe o dinamiche di sfruttamento a danno di lavoratori e lavoratrici di origine straniera;
- Introdurre una clausola di salvaguardia nel TUI per il rilascio di un permesso di soggiorno per attesa occupazione a lavoratori e lavoratrici che, una volta sul territorio nazionale, non possono finalizzare la procedura e accedere a un permesso per lavoro per cause loro non imputabili (es. morte o irreperibilità del datore o della datrice; fallimento dell’azienda);
- Inserire nel TUI un meccanismo di regolarizzazione su base individuale per la persona straniera che seppur sprovvista di permesso di soggiorno sia destinataria di un’offerta di lavoro o dimostri di essersi radicata sul territorio;
- Modificare la Legge sulla cittadinanza, introducendo il principio dello ius soli;
- Approvare una legge organica sull’apolidia, che disciplini la procedura, le garanzie durante l’esame della domanda e i diritti connessi;
- Rendere automatica l’acquisizione della cittadinanza italiana a persone figlie di genitori apolidi, quando il riconoscimento dell’apolidia sia avvenuto successivamente alla nascita.
Note
(1) - Campagna Ero Straniero, I veri numeri del decreto flussi: un sistema che continua a creare irregolarità, maggio 2023.
(2) - F. De Blasis, P. Bonizzoni, Verso una nuova apertura alle migrazioni per motivi di lavoro? Intermediazione, rischio di frode e limbo legale nella lotteria del decreto flussi, maggio 2024.
(3) - Fonte: Ministero dell’Interno, Confronto dati anno 2020 – 2021 e Confronto dati anno 2021 - 2022
(4) - Campagna Ero Straniero, nota stampa, novembre 2023.
(5) - Fonte: ISTAT.
(6) - Fondazione ISMU ETS, Ventinovesimo Rapporto sulle migrazioni 2023, febbraio 2024.
(7) - Vedi nota 6.
(8) - Vedi nota 6.
(9) - Fonte: ISTAT
(10) - Vedi nota 1.
(11) - Fonte: Fondazione Leone Moressa
(12) - European migration network, Comparative overview of national protection statuses in EU and Norway – EMN synthesis report for EMN study 2019, 2020.
(13) - Fonte: Openpolis
(14) - Vedi nota 6.
(15) - Fonte: Tavolo Apolidia
(16) - European network on statelessness, Statelessness index 2023
Pap Khouma
Italia, 1984. Pap Khouma arriva a Milano dal Senegal. Quella che oggi è la storia individuale di milioni di persona era, al tempo, quasi un fatto curioso in un paese che, fino a meno di venti anni prima, era terra quasi esclusivamente di emigrazione. Passano gli anni e Pap impara l’italiano e considera l’Italia e Milano come la sua seconda casa. Siamo nel 1989 e ci sono più immigrati in Italia rispetto a cinque anni prima: sono poco più di mezzo milione.
E rimangono così, nell’ombra, in disparte, visibili solo nei grandi centri urbani. Ma le loro storie iniziano ad affacciarsi nel vissuto dell’Italia che cambia: troppo marginali per essere già oggetto di speculazione politica ma comunque oggetto di interesse per gli italiani, spesso poco abituati a vedere in giro per le grandi città italiane persone differenti dai soliti turisti.
Queste sono le storie che decide di raccontare Pap Khouma. La sua storia e la storia di molti altri. Quando gli venne chiesto di raccontare la storia di altri migranti, ricorda come “all’origine dell’inchiesta vi era un senegalese che aveva iniziato a lavorare in una storica caffetteria di Firenze”; non scandalo ma curiosità, appunto, e il sorgere delle prime domande riguardo gli “stranieri” che venivano a vivere qui, in Italia.
Da questa indagine trasse lo spunto per il libro che lo renderà famoso, “Io, venditore di elefanti. Una vita per forza tra Parigi, Dakar e Milano”. Chi erano queste persone? Da dove venivano? Perché venivano in Italia? Tante le domande alle quali il libro provava a rispondere. Il punto centrale era però chiaro: il punto di contatto tra il desiderio di una vita migliore e il rapporto con una cultura e un ambiente completamente diverso. E una situazione in cui, pur riuscendo in molti casi ad essere “in regola” da un mero punto di vista formale, si finiva relegati ai margini - quelli fisici delle periferie ma allo stesso tempo sociali - del paese ospitante. Proprio da quella esperienza Pap Khouma troverà il suo “posto” nella sua nuova vita. Dopo anni passati a vendere elefanti di ceramica (da qui il titolo del libro), infatti, il successo avuto con la sua pubblicazione lo aiuterà ad affermarsi nel mondo della cultura e dell’editoria. Inizierà a scrivere di letteratura e migranti su riviste specializzate, pubblicherà nuovi libri e inizierà a lavorare in una grande libreria milanese, occupandosi dei libri stranieri. E porterà i suoi racconti anche nelle scuole, conscio che l’educazione ha un ruolo fondamentale nel prevenire il razzismo e la discriminazione.
Dall’uscita di “Io, venditore di elefanti” sono passati ormai 30 anni. Cosa e quanto è cambiato da allora? Rispondiamo e concludiamo questa storia proprio con le parole di Pap Khouma, estrapolate da un’intervista risalente al 2018:
“Oggi viviamo un momento difficile, soprattutto per chi è immigrato e ha la pelle nera. Nei talk show si va solo a litigare. Si può trovare spazio con il politico di turno che vuol far crescere i propri consensi sparando contro gli immigrati. Spesso ci sono uno o due africani che si difendono, dicendo: ‘Noi non siamo così”. Chi attacca e chi difende, insomma, come in un gioco di ruolo. La verità e’ che però mancano gli spazi per scrivere e riflettere [...]”