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Autodeterminazione Femminile

Il 2023 e il 2024


Nonostante le rivendicazioni dell’attuale governo in carica e della maggioranza politica, il 2023 si chiude con un bilancio che non vede un sostanziale superamento delle sfide culturali, politiche e sociali legate al tema della piena autodeterminazione femminile e della parità di genere.

Le medesime considerazioni possono estendersi al decennio 2013-2023, pur registrandosi alcuni sforzi da parte dei decisori politici e la promulgazione di strumenti legali ed amministrativi particolarmente incentrati sulla riduzione del divario occupazionale di genere e sulla tutela penale delle vittime di violenza maschile.

Il 2023 si conclude con 104 vittime di violenza patriarcale, agita per il 72% per cento dei casi da autori di nazionalità italiani, nella maggior parte delle volte legati alla vittima. Il dato, sebbene in lieve diminuzione rispetto a quello del 2022 e comunque in aumento nel 2024, continua a presentare un conto allarmante e conferma come un approccio securitario e di repressione penale, accompagnato da un’ipertrofia legislativa sul tema della violenza di genere, non può essere considerato una soluzione risolutiva al problema. In tal senso, si osserva come tutto il decennio 2013-2023 non veda una significativa diminuzione del numero di vittime di violenza maschile, spesso innescata dalla volontà delle donne di porre fine al legame o alla relazione violenta.(1)



C12. Grafico 2 • Numero di femminicidi in Italia 2013-2024



I dati ISTAT relativi 2023 ci dicono anche che le richieste ricevute dal numero di pubblica utilità contro la violenza e lo stalking, il 1522, sono state 51.713, in significativo aumento rispetto agli anni precedenti (+143% è la variazione rispetto al 2019, +59% rispetto al 2022). L’incremento dei contatti nel 2023 caratterizza tutti i trimestri e risulta particolarmente accentuato, come ogni anno, in corrispondenza della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne del 25 novembre. Nel quarto trimestre del 2023, tuttavia, l’incremento registrato è stato particolarmente evidente, probabilmente anche per gli effetti sull’opinione pubblica del femminicidio della giovane Giulia Cecchetin.

Drammatici ma esplicativi risultano anche gli ultimi dati elaborati dal Servizio Analisi Criminale della Direzione centrale della Polizia criminale sulle violenze sessuali e sui cosiddetti reati spia. Nel decennio 2013-2022 le fattispecie in esame mostrano una tendenza in progressivo e costante incremento. In particolare, si registra un aumento del 105% conseguito nell’intero periodo per i maltrattamenti contro familiari e conviventi, seguito da quello del 48% per gli atti persecutori e del 40% per le violenze sessuali (4.488 casi nel 2013 a fronte dei 6.291 nel 2022).

Il Report "Violenza sulle donne" del Servizio analisi criminale della Direzione Centrale Polizia Criminale, aggiornato all'8 marzo 2024, evidenzia che nel 2023 le vittime di violenza sessuale sono state 6.062, di cui il 91% donne.

Ma la violenza non si esaurisce con gli atti fisici o sessuali. Nel 2023 l’Autorità Garante per la protezione dei dati personali è intervenuta sul fenomeno del c.d. revenge porn (612 ter c.p.). A circa 5 anni dall’approvazione della Legge 69/2019 che ha inserito nel Codice penale la fattispecie di reato, questo fenomeno risulta in preoccupante aumento: 299 le segnalazioni di persone che temono la diffusione di foto e video a contenuto sessualmente esplicito, raddoppiate rispetto allo scorso anno.

In termini di progressione legislativa, nel 2013 si assiste alla Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, siglata a Istanbul l’11 maggio 2011 e all’entrata in vigore della c.d. Legge sul femminicidio (119 del 2013). Nel 2015, in seno al d.lgs. 80 del 2015 e alla Legge 107 del 2015 e 124 del 2015 vengono previste ulteriori disposizioni in tema di tutele lavorative per le vittime di violenza e di sensibilizzazione sul tema in ambito scolastico.

In recezione delle disposizioni europee (Legge Europea 2015-2016 16G00134 e Direttiva 2012/29/UE) vengono adottati l’art. 11 della Legge 122 del 2016 e il D.lgs. 212 del 2015. Oltre ad una novella legislativa in tema di tutele degli orfani per crimini domestici del 2018, il successivo provvedimento normativo di rilevo anche politico e mediatico si incontra del 2019 con la c.d. Legge Codice Rosso (n. 69/2019) che vede, tra le varie disposizioni, l’inasprimento di pene per alcuni reati già esistenti, l’inserimento di nuove fattispecie di reato e l’aumento di tutele anche in ambito procedurale per le vittime di violenza domestica e di genere. In termini di tutela economica, con una misura ampiamente auspicata, è stato emanato il D.P.C.M del 17 dicembre 2020 sull’istituzione di un c.d. Reddito di libertà per le donne vittime di violenza, diverso dal diritto all’indennizzo previsto dalla Legge 122 del 2016. Alcune disposizioni sulla violenza di genere sono state previste anche nella legge di riforma del processo penale (Legge 134 del 2021) e nella c.d. Riforma Cartabia. Nel febbraio 2023 è stata infine istituita una Commissiona parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere. Segue l’entrata in vigore del c.d. Ddl Roccella (Legge 168 del 2023) incentrato nuovamente sull’inasprimento di pene, il rafforzamento di tutele e la previsione di percorsi di riabilitazione per gli autori di violenza.

Anche in questo caso, come per le novelle precedenti, ad essere verificata dovrà poi essere la concreta efficacia e la sostenibilità delle misure previste che, se non sostanziate da una serie di disposizioni applicative e di potenziamento di risorse umane e finanziarie, oltre che da un processo di problematizzazione culturale del problema, non solo in sede di repressione penale delle condotte, rischiano di non raggiungere l’effetto per cui sono state disposte. Si conferma dunque la considerazione che gli interventi di contrasto alla violenza non possono essere inseriti unicamente in quadro di approccio securitario e caratterizzato dalla c.d. “emergenzialità” del fenomeno.

Negli ultimi decenni la partecipazione delle donne al mercato del lavoro è cresciuta in maniera costante e considerevole, confermando una tendenza progressiva e positiva nel periodo 2013-2023. Tuttavia, il tasso di occupazione femminile in Italia rimane ancora al di sotto della media europea. Nell’ultimo decennio, gli effetti sull’economia della pandemia di Covid-19 hanno prodotto gravi ripercussioni sull’occupazione femminile, vanificando alcuni risultati faticosamente conquistati. Tra il 2019 e il 2020, il numero di occupati è diminuito del 2,5 per cento tra le donne rispetto all’1,5 per cento tra gli uomini(2). Tra il secondo trimestre 2019 e il secondo trimestre 2020 su 100 posti persi, 56 hanno riguardato lavoratrici, e una maggiore probabilità di perdere il posto di lavoro o di avere una riduzione della retribuzione è stata riscontrata negli impieghi ad alto tasso di femminilizzazione, tra cui: ospitalità e ristorazione, servizi commerciali, istruzione, servizi di assistenza alla persona, industria tessile(3).



C12. Grafico 1 • Tasso di occupazione tra le donne italiane



Verso la fine dell’era pandemica, nel 2021, la legge 162 ha introdotto due importanti novità all’interno del Codice delle pari opportunità (dlgs.198/2006). Ha esteso alle imprese pubbliche e private con oltre 50 dipendenti, l’obbligo di redigere un rapporto sulla situazione del personale rendendo trasparenti una serie di informazioni come i processi di selezione, licenziamento e di promozione. Con l’introduzione nel Codice dell’art. 46-bis, la nuova legge dispone, inoltre, l’istituzione della certificazione della parità di genere (al costo di 10 milioni di euro) al fine di attestare le misure concrete adottate dai datori di lavoro per ridurre il divario di genere all’interno delle aziende pubbliche e private, dalla parità salariale alle politiche di tutela della maternità. Dal momento che la legge disponeva di meccanismi premiali per le aziende private certificate, come sgravi fiscali e punteggi aggiuntivi in ambito di progetti europei, si poneva il rischio che l’iniziativa potesse essere strumentalizzata dalle imprese allo scopo di attuare il “gender washing”, ovvero migliorare la propria immagine mostrandosi “vicine alle donne” solo per promuovere le vendite, senza prendere realmente posizione per la parità di genere.(4)

Le aziende certificate ad oggi sono oltre 1800, ben più delle 800 previste dal PNRR entro il 2026, eppure secondo uno studio sull’occupazione femminile del Dipartimento lavoro della Camera dei deputati, pubblicato a dicembre 2023, la situazione dell’occupazione femminile nel nostro Paese registra una serie di profili critici: le donne occupate sono circa 9,5 milioni laddove i maschi occupati sono circa 13 milioni, una donna su cinque fuoriesce dal mercato del lavoro a seguito della nascita di un* figli* e la differenza nella retribuzione annua media (gap salariale) rispetto agli uomini è di circa 7.922 euro.

L’ultima relazione annuale di Bankitalia ci mostra che alla maternità è associata ancora una forte perdita salariale per le donne, una grande difficoltà a reinserirsi nel mercato del lavoro e minori possibilità di fare carriera. Infatti, sia il Global Gender Gap Reportdel 2023 del World Economic Forum che l’ultimo Indice europeo di parità, rilasciato ad ottobre 2023 dall'Agenzia europea per l’uguaglianza di genere (EIGE), riportano che, mentre l’Europa si attesta il miglior punteggio tra le regioni del mondo per il suo livello di parità di genere, registrando il miglior dato di sempre, l'Italia si mantiene al di sotto della media europea e sotto tutti i paesi europei del G7 e del G20. In particolare, nel rapporto EIGE, l'Italia si conferma, ininterrottamente dal 2010, all'ultimo posto nel settore occupazionale a livello europeo, per il tasso di partecipazione e segregazione del mercato del lavoro e per la qualità del lavoro delle donne(5).

I dati Istat sul tasso di occupazione femminile relativi al 2023 mostrano un aumento di 1,5 punti percentuali rispetto allo stesso periodo nel 2022, toccando punte mai raggiunte prima, ma i medesimi dati confermano che l’occupazione femminile in Italia si attesta ben sotto la media europea, senza tenere conto degli ampi divari tra Nord e Sud e del tipo di lavoro (spesso per le donne, part-time o con contratti determinati) oltre che della qualità.

La Legge di bilancio 2024 (Legge n. 213 del 30 dicembre 2023, art. 1 co. 180 e 181) ha introdotto un esonero contributivo per le madri lavoratrici dipendenti a tempo indeterminato, con tre o più figli, fino alla maggiore età del figlio o della figlia più piccola. Da tempo gli studi raccomandano la rinuncia ai meccanismi dei bonus, in quanto frammentati e occasionali, e quindi spesso inefficaci, inefficaci al fine di risolvere il problema legato al reinserimento della madre nel mondo del lavoro, emergendo inoltre un profilo di discriminazione e prevedendo dei requisiti minimi per il conseguimento difficili da presentare. Ancora una volta, poi, in una misura di supporto a fronte della nascita di un* figli*, non viene menzionato il ruolo dei padri, che dovrebbero contribuire in maniera equa alla cura della famiglia.

In Italia la maternità continua a presentare un costo altissimo per le donne, non solo in termini di servizi ma anche di collaborazione e di strumento in grado di permettere loro di conciliare vita lavorativa e carichi familiari. La carenza di collaborazione maschile, di servizi pubblici, di asili nidi, e di politiche pubbliche a sostegno delle scelte riproduttive trasforma la nascita di un* figli* in un carico di lavoro di cura sproporzionato, nel rischio concreto di perdere il lavoro, e, molto spesso, nella rinuncia non solo alla propria progettualità individuale.

Il tema della salute e dei diritti riproduttivi delle donne ha seguito nell’ultimo decennio un percorso tortuoso e complesso, che apre tutt’oggi a numerose considerazioni. Il capitolo “Libertà femminile e autodeterminazione” della prima edizione del Rapporto Diritti del 2013-14 si apriva con il tema del Diritto all’aborto libero e assistito, ponendo l’accento sull’elevato numero di personale sanitario obiettore di coscienza e sull’inadeguata organizzazione del servizio di IVG a livello territoriale. Nel rapporto si riferiva anche che il Comitato Europeo dei Diritti Sociali, con decisione depositata il 10 marzo 2014, aveva condannato l’Italia per violazione dell’art. 11 della Carta Sociale Europea che tutela il diritto alla salute, a causa dei troppi obiettori di coscienza che impediscono alle donne di ricorrere all’interruzione di gravidanza. Dopo dieci anni, le vicende e i dati relativi all’attuazione della legge italiana sull’interruzione volontaria di gravidanza dimostrano come gli obiettivi di piena tutela richiamati incontrino ancora numerosi ostacoli per la loro realizzazione, soprattutto in certe regioni.

Un evento di rilievo di questi dieci anni è rappresentato dall’aggiornamento, nel 2020, delle Linee di indirizzo sulla interruzione volontaria di gravidanza con mifepristone e prostaglandine” col quale l’allora Ministero della Salute esprime parere favorevole all’ esecuzione dell’aborto farmacologico fino alla nona settimana di gestazione, anche presso strutture ambulatoriali pubbliche, nei consultori o in regime di day hospital. In precedenza, l’assunzione del farmaco poteva avvenire solo entro la settima settimana e a seguito di ricovero ospedaliero. Tuttavia, le linee di indirizzo non costituiscono atto con forza di legge e rappresentano solo un’indicazione che, per il momento, la maggior parte dei servizi ha scelto di disattendere.

A 46 anni dalla promulgazione della legge 194, il tasso di obiezione tra i medici e il personale sanitario è talmente alto da rendere problematica o impraticabile l’interruzione di gravidanza in molte zone del paese. Il 12 settembre 2023 il Ministero della Salute ha trasmesso al Parlamento la relazione annuale sull’attuazione della L. 194/1978, in materia di tutela sociale della maternità e IVG, ma in riferimento all’anno 2021 e contenente dati chiusi e aggregati. Dalla relazione del Ministero della Salute emerge che gli aborti sono diminuiti del 72,9 per cento negli ultimi 40 anni: questi stessi numeri sono stati usati dall’attuale ministra della Famiglia per sostenere che il numero di medici preposti sia sufficiente. Tuttavia, dai dati ministeriali sulla legge 194 emerge che in Abruzzo e in Sicilia gli obiettori sono quasi 9 su 10, mentre in Campania, Puglia e Basilicata quasi 8 su 10, che il 72% degli ospedali hanno tra l’80 e il 100% di obiettori e ventidue ospedali e quattro consultori registrano poi il 100% di obiezione tra medici ginecologi, anestesisti, infermieri e operatori sociosanitari.

La relazione ministeriale conferma che il rischio di gravidanze indesiderate e la tendenza al ricorso all’aborto volontario è in diminuzione, soprattutto per il maggiore ricorso a metodi di contraccezione. Dal 2015 sono state diverse le determine dell’Agenzia Italiana del Farmaco, l’Aifa, in favore della contraccezione di emergenza, che hanno eliminato l’obbligo di prescrizione medica per le maggiorenni e le minorenni per l’Ulipristal acetato e per le maggiorenni per il Levonorgestrel. A fronte di queste determine, gli ultimi dati sull’IVG del Ministero della Salute ci mostrano una riduzione nelle stime sugli aborti clandestini (nel 2012 se ne stimavano tra 12.000 e 15.000 e nel 2016 tra 10.000 e 13.000) che si mantengono comunque altissime.

Per quanto riguarda l’accesso alla contraccezione l’Italia in questi anni ha mantenuto uno standard decisamente al di sotto della media europea. Il BarometroEuropeo per il monitoraggio dell’accesso delle donne alla contraccezione avanzata del 2015 dava l’Italia agli ultimi posti. Anni dopo, nell’Atlas europeo 2019 che misura l’accesso alla contraccezione in 45 Stati dell'Europa geografica, l’Italia occupava già la ventiseiesima posizione, vicino a paesi come la Turchia e l’Ucraina e ben lontano da Gran Bretagna, Francia o Spagna. Ancor più di recente, secondo il Contraception Policy Atlas Europe 2023, l’Italia si colloca esattamente a metà della classifica europea, al 23esimo posto, in compagnia di Serbia, Kosovo e Lituania e nettamente distante dagli altri stati dell’Europa occidentale. Il risultato italiano è addirittura peggiorato rispetto al 2020, per la mancanza di forme di distribuzione gratuita o di rimborso esteso a livello nazionale, per i costi molto elevati rispetto alla media e per le informazioni insufficienti sui contraccettivi(6).

Si segnala come il dibattito della possibilità di rendere gratuita la pillola anticoncezionale sia aperto da molti anni e che nell’aprile 2023 il Comitato prezzi e rimborsi dell’AIFA aveva approvato la decisione di rendere totalmente rimborsabile la contraccezione orale per tutte le donne, senza distinzioni di età. Tuttavia, il Consiglio di amministrazione ha definito nel novembre 2023 le modalità con cui il contraccettivo potrà essere erogato in forma gratuita, con particolare attenzione alle fasce di età e ai luoghi della somministrazione. Questo aspetto rappresenta un serio limite per tantissime donne se si considera che in Italia, secondo l’Indagine nazionale sui consultori familiari 2018-2019, c’è un consultorio ogni 35mila residenti (circa il 60% in meno del fabbisogno della popolazione), e un numero ben al di sotto di quello previsto della legge 34 del 1996, fissato in uno ogni 20mila abitanti. Secondo l’organizzazione non governativa Aidos, nel 1993 se ne contavano 2.735, mentre nel 2016 erano appena 1.944. Nel corso degli anni la rete dei consultori sul territorio è stata sempre più depotenziata, in virtù di una crescente tendenza alla privatizzazione dei servizi sanitari e al più generale disinvestimento nei confronti della sanità pubblica.

Recentemente, nonostante le intenzioni proclamate dall’attuale Governo di aumentare il sostegno alle famiglie e alle donne, si osserva come la “tampon tax”, cioè l’IVA sugli assorbenti, ridotta nel 2022 dal 22 al 10% dal governo in carica nel 2022, che in prospettiva sarebbe dovuta scendere dal 10 al 5% per i prodotti non compostabili, nel 2024, è stata riportata al 10%. Da notare che il dato interessa anche i pannolini per i neonati. La “tampon tax”, oggetto di regolamentazione Europea che ne ha progressivamente abbassato la soglia minima negli stati UE (nel 2007), fino a consentirne la totale abolizione (nel 2022), rappresenta da anni una misura particolarmente discussa anche a livello Europeo e internazionale e la sua abolizione, rivendicata da molti movimenti femministi, è già stata disposta da alcuni governi esteri.(7)

Il panorama sopra rappresentato, declinato nella piena tutela di diritti legati al tema dell’autodeterminazione femminile, nel raggiungimento della parità formale e sostanziale, nell’accesso alle pari opportunità e nel contrasto alle discriminazioni conferma la portata culturale della sfida del pieno raggiungimento dell’autodeterminazione femminile.

In tal senso, non è possibile omettere di tenere in considerazione la persistenza di stereotipi di genere nel linguaggio corrente, che si vede oggetto della imprescindibile transizione verso una rappresentazione ideologica e un’evoluzione della terminologia che rifletta la necessaria evoluzione culturale. Dal punto di vista del linguaggio, si richiama la discussione sul femminile sovraesteso, sulle desinenze plurali inclusive con l’asterisco o la schwa, nonché sullo sdoganamento dei femminili professionali che si è estesa negli ultimi anni e che sta progressivamente ottenendo maggiore riconoscimento.(8)

Tuttavia, l’Italia vede nell’ottobre del 2022 per la prima volta nella sua storia repubblicana, l’elezione di una Presidente del Consiglio, che dichiara immediatamente, diramando la prima comunicazione ufficiale a seguito del suo insediamento, la declinazione al maschile del proprio titolo che adotterà durante il mandato in corso. L’intero sistema di linguaggio adottato dal Governo conferma un chiaro posizionamento: tale considerazione emerge avendo particolarmente in considerazione l’aggiunta del termine “natalità” al Ministero della Famiglia e delle Pari Opportunità, nonché la nomina allo stesso della Ministra Eugenia Maria Roccella, portavoce del Family Day del 2007 e di posizioni dichiaratamente antiabortiste e conservatrici.

Lo stereotipo di genere più antico e più violento è, infatti, l’idea che il corpo delle donne sia territorio di dominio pubblico e che lo stesso possa tramutarsi in territorio di scontro politico per scelta di altri. Le proposte normative del 2023 si muovono in questa direzione. Il lavoro del nuovo Parlamento prende avvio, in data 13 ottobre, primo giorno della XIX legislatura, con la proposizione da parte dell’attuale capogruppo di Forza Italia al Senato del disegno di legge finalizzato a riconoscere capacità giuridica al feto, il Ddl n. 165. Nel giugno 2023, da Largo Chigi si è guardato con interesse al disegno di legge a firma Licia Ronzulli (FI), che di fronte al femminicidio di Giulia Tramontano, incinta al settimo mese, ha riproposto l’introduzione dell’articolo 575-bis del Codice penale in materia di reato di omicidio di donna in stato di gravidanza, che inquadrerebbe la fattispecie in un duplice omicidio.

In una collocazione storica in cui l’Unione Europea vota per inserire il diritto all’aborto nel catalogo dei diritti fondamentali riconosciuti e la Francia lo inserisce nella propria Costituzione, in Italia, nell’aprile 2024, viene approvato un emendamento all’art. 44 al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) in tema di “riorganizzazione dei servizi consultoriali” che agevola la presenza e le attività dei gruppi anti-scelta all’interno dei servizi dei consultori familiari, su richiesta delle Regioni, mettendo in serio rischio la libertà di scelta e la laicità del servizio pubblico attraverso la perpetrazione di pratiche in molti casi ritenute lesive della dignità della donna, al fine influenzare la sua libertà di scelta(9). Sulla stessa linea anche la proposta di iniziativa popolare del dicembre 2023, che prevede la seguente modifica: Art. 1. 1. Dopo il primo comma dell’articolo 14 della legge 22 maggio 1978, n. 194, è inserito il seguente: «Il medico che effettua la visita che precede l’interruzione volontaria di gravidanza ai sensi della presente legge è obbligato a far vedere, tramite esami strumentali, alla donna intenzionata ad abortire, il nascituro che porta nel grembo e a farle ascoltare il battito cardiaco dello stesso» che sarà prossimamente discussa dalle Commissioni riunite di Giustizia e Affari Sociali.

Risulta rilevante porre l’accento su un’altra allarmante proposta del medesimo anno. A novembre 2023 l’attuale Ministro dell’Istruzione ha lanciato un progetto di formazione nelle scuole (“Educare alle relazioni” – percorsi progettuali nelle scuole) per sensibilizzare sul tema della violenza di genere attraverso il coinvolgimento delle associazioni del Forum nazionale delle associazioni dei genitori della scuola (Fonags), richiamato all’art. 2 della Direttiva a cui afferiscono anche associazioni vicine all’universo pro-vita ed in alcuni casi prive di alcuna competenza sul tema.

Indicativo, inoltre, il fatto che non è stata considerata la possibilità di inserire tale attività nel programma scolastico curricolare all’interno di un corso di “Educazione sessuale e all’affettività”. In tal senso, la possibilità e già prevista dallo strumento legislativo della legge 107 del 2015, che resta tuttora inapplicata. L’Italia è uno dei pochi paesi in Europa a non avere programmi obbligatori di educazione affettiva e sessuale nella scuola pubblica.

In ottica intersezionale, si continuano a registrare discriminazioni legate alla condizione di donne migranti, che costituiscono circa la metà della popolazione extraeuropea regolarmente soggiornante in Italia nel 2023. I rischi principali connessi alla migrazione femminile sono quelli legati alla tratta di esseri umani e allo sfruttamento della prostituzione, oltre all’invisibilizzazione di diverse soggettività che non hanno accesso alla regolarizzazione del proprio titolo di soggiorno, all’apprendimento della lingua e a percorsi di istruzione, al mondo del lavoro. Le specifiche forme di violenza di cui sono oggetto anche le donne straniere e migranti, come la violenza domestica, psicologica ed economica, e che sono comunemente ascritte alla sfera privata, si fanno ancora largo a fatica per il riconoscimento dello status di rifugiata(10). In questo senso l’appartenenza delle donne ad “un determinato gruppo sociale” continua a rappresentare il principale strumento per il riconoscimento delle istanze di asilo al femminile, a meno che la donna non venga identificata come vittima di tratta e sfruttamento sessuale o lavorativo.

Il 19 maggio 2016 la Commissione europea ha adottato la prima Relazione sui progressi compiuti nella lotta alla tratta di esseri umani, a norma dell'art. 20 della direttiva 2011/36/UE concernente la prevenzione e la repressione della tratta di esseri umani e la protezione delle vittime, che per sua stessa natura non può che essere considerata a livello dell’Unione. Dal documento della Commissione si evince che la tratta di esseri umani a fini di sfruttamento sessuale continua a essere di gran lunga la fattispecie predominante di tratta nell'UE. Secondo i dati del SIRIT, Sistema Informatizzato per la raccolta di informazioni sulla tratta del Dipartimento per le Pari Opportunità, la percentuale femminile delle persone prese in carico nell’ambito del programma di emersione, assistenza e integrazione sociale è dell’85% nel 2017, dell’88,1% nel 2018, dell’85,8% nel 2019, dell’81,6% nel 2020, del 75,7% nel 2021, del 67,1% nel 2022 e del 63,2% nel 2023 con progressivo aumento delle persone transessuali, che per la quasi totalità dei casi sono vittime di tratta ai fini di sfruttamento sessuale. Non varia dunque il motivo dello sfruttamento rispetto a quello di sesso femminile biologico. Nonostante l’esistenza di strumenti normativi a tutela delle vittime di tratta, sociali e legali, il fenomeno continua a costituire una tematica caratterizzante la migrazione di genere.

Si osserva come la migrazione femminile veda migrazioni in solitaria, molto spesso con la speranza di trovare un impiego in Italia per sostenere la famiglia nel paese di origine, o tramite ricongiungimento familiare. Anche in questo caso, secondo i Dossier di Idos a maggior parte delle donne migranti trova impiego in ambito di lavori di cura e domestico, confermando alcune delle considerazioni svolte anche per le donne italiane(11).

Nel periodo della pandemia da Covid-19, la limitazione alla libertà di movimento delle persone ha reso necessario il provvedimento di regolarizzazione del 2020 (c.d. Sanatoria) anche e soprattutto per i lavori di cura, assistenza domestica e domiciliare. In questo senso, si è assistito a delle vere e proprie assunzioni “emergenziali”, confermando, tra le varie considerazioni, l’importanza socioeconomica e il potenziale umano del lavoro prestato dalle donne straniere in Italia. (12)

Si osserva infine, come in Italia sia ancora presente un settore di detenzione amministrativa dedicato a sole trattenute donne, presso il Centro di permanenza per il rimpatrio di Ponte Galeria (Roma) di cui negli anni è variata la capienza fino ad arrivare nel 2023 alla disponibilità di soli 5 posti.

Nel Centro di permanenza per il rimpatrio è stata riscontrata frequentemente la presenza di donne Rom, nate e cresciute in Italia ma prive di documenti e in attesa di essere rimpatriate in Paesi di cui non risultano cittadine e con cui non hanno alcun tipo di legame sociale, culturale e linguistico. È evidente come tale problema abbia carattere strutturale e sia generato da politiche non risolutive sullo status giuridico delle persone rom presenti sul territorio nazionale che dimorano in campi autorizzati o insediamenti informali(13).

In condizioni di detenzione amministrativa è stata altresì registrata la presenza di donne in condizioni di estrema vulnerabilità psicofisica, per cui la misura del trattenimento continua ad apparire, se possibile, ancor più disumana e non funzionale alle asserite esigenze di sicurezza.

In generale, tale strumento ha suscitato notevoli questioni di legittimità ed opportunità sul tema da parte da associazioni e giuristi, eppure, il settore femminile è ad oggi ancora in funzione, come rilevato nella relazione annuale del 2023 della Garante delle persone private della libertà personale Valentina Calderone.



Una panoramica dell'ultimo decennio


Ripercorrendo il decennio 2013-2023 si osserva come le donne in Italia continuino a faticare per conquistare la propria autodeterminazione sulla base di un modello culturale che, da un lato, le vede capaci solo a ricoprire ruoli di cura, riconducibili alla funzione biologica di madre, e, dall’altro lato, le oggettifica, le disumanizza e le sessualizza. Basti pensare all’eclatante caso, scoppiato nel 2020, dei cimiteri di feti in tutta Italia: più di una cinquantina di luoghi gestiti da associazioni ultra-cattoliche e anti-scelta in cui l’aborto (spontaneo o volontario) veniva equiparato alla morte di un bambino ed i feti venivano seppelliti senza la consapevolezza o l’autorizzazione di chi li aveva concepiti, ma spesso con nome e cognome delle stesse. O al caso mediatico, esploso per la prima volta nel 2019, delle centinaia di chat su Whatsapp e Telegram dove migliaia di uomini (una delle chat vede oltre 43mila iscritti e 30mila messaggi al giorno) si scambiano foto, video e dati personali di donne senza il loro permesso, tra cui video di violenze sessuali e materiale pedopornografico, così come richieste di reperimento delle cd. “droghe dello stupro”.

Il Comitato delle Nazioni Unite per l’eliminazione della discriminazione contro le donne (CEDAW) a febbraio 2024 ha pubblicato le sue conclusioni sull’Italia, sottolineando come nel nostro Paese sessismo e stereotipi di genere persistano a livello sociale e istituzionale. Il Comitato ha dichiarato disappunto per i discorsi d’odio diretti alle donne LGBT e alle donne con disabilità, invitando l’Italia ad adottare quanto prima una strategia strutturale per rimuovere lo stereotipo del ruolo di cura e di responsabilità femminile nelle famiglie e nella società. Il Comitato ha, inoltre, espresso preoccupazione per il fatto che, a seguito delle elezioni del 2022, la rappresentanza femminile sia al Senato che alla Camera sia diminuita e che le donne continuino a essere significativamente sottorappresentate nelle cariche politiche di governo.

Per quanto riguarda la presenza delle donne nei ruoli decisionali negli ultimi anni sono state emanate diverse norme tendenti al riequilibrio della rappresentanza femminile nelle istituzioni, come le Leggi 215/2012 e 56/2014, in seguito alle quali si è registrato un aumento spontaneo del numero di donne all’interno delle giunte. Eppure, le aspiranti sindache coinvolte nelle amministrative del 2024 sono solo il 21% del totale e anche se una lieve crescita si registra (20% nel 2023 e 19% nel 2022), a questo ritmo la parità di rappresentanza verrebbe raggiunta nel 2053.

Anche per quanto riguarda i ruoli tecnici le donne faticano a conquistare ruoli di rilievo. A mero titolo esemplificativo, ha suscitato scalpore l’ordinanza n. 663 dell’aprile 2020 – con la quale il Capo del Dipartimento della Protezione Civile ha nominato i componenti del Comitato Tecnico Scientifico che fornisce supporto nelle attività finalizzate al superamento del Covid-19 – per il fatto di non avere incluso neanche una soggettività femminile. A ciò si è aggiunto l’esiguo numero di componenti di sesso femminile all’interno della task force a servizio del Governo (solo 4 su un totale di 17). Successivi provvedimenti sono giunti a incrementare la quota femminile del CTS e della task force rispettivamente di 6 e 5 nuovi membri selezionati tra scienziate, docenti universitarie ed esperte, ma questo fatto dimostra quanto nel nostro Paese in molti casi l’assegnazione dei ruoli di primo piano sia ancora un’opzione impostata de plano a favore della componente maschile.

Se negli ultimi cinquant’anni sono stati fatti compiuti enormi passi avanti sul tema del diritto all’autodeterminazione femminile, apre a molte perplessità la constatazione che il discorso politico sembri mettere in discussione molti dei risultati acquisiti con fatica.



Raccomandazioni


Le seguenti raccomandazioni prendono avvio nella precisa considerazione della radice sociale e culturale del tema della violenza, della eteronormatività e dell’impianto patriarcale in cui si definisce l’autodeterminazione femminile.


  • Affrontare il tema della violenza di genere, superando l’ottica di emergenzialista dei provvedimenti adottati e smettere di considerare la violenza di genere come un fenomeno privato e suscettibile di strumentalizzazione secondo dinamiche di consenso politico. È giunto il momento che il mondo istituzionale e della politica assuma la dimensione sociale e la responsabilità politica del fenomeno;


  • Garantire tempestiva tutela e protezione alle vittime di violenza assicurandosi che gli strumenti legislativi predisposti impattino efficacemente sulla vita delle donne che denunciano violenza di genere, mettendo gli organismi giudiziari e delle forze dell’ordine nelle condizioni di dare compiutamente seguito a quanto previsto nelle disposizioni di legge, contrastando il fenomeno della vittimizzazione secondaria;


  • Previsione e stanziamento di fondi per misure di reddito di autonomia per le donne, finalizzato alla costituzione di una garanzia di indipendenza per le donne che intraprendono percorsi di fuoriuscita dalla violenza; si raccomanda lo stanziamento di risorse e finanziamenti per i servizi di autodeterminazione e fuoriuscita dalla violenza come CAV e Case Rifugio;


  • Garantire la piena parità delle donne all’accesso del mondo del lavoro attraverso politiche strutturali di sostegno alla equa distribuzione di carichi familiari e alla conciliazione per la donna della vita lavorativa e familiare, inclusi il potenziamento di servizi per l’infanzia e le misure di sostegno del reddito familiare;


  • Garantire un pieno diritto alla salute sessuale e riproduttiva e l’accesso ad IVG, favorire l’assunzione di medici non obiettori, incentivare la telemedicina e l’obbligo di corsi di aggiornamento e formazione del personale sanitario anche in termini di sensibilizzazione in tema di violenza ostetrica, non consentendo la presenza, negli spazi del servizio pubblico sanitario, delle associazioni che non rispettino il diritto della donna ad una libera scelta, difendendo gli spazi sicuri e di non giudizio;


  • Considerare i luoghi di formazione (Scuole, Università, Centri per l’Impiego) spazi primari di contrasto alle disuguaglianze e alla violenza, lavorando sull’educazione sessuale e affettiva, nel pieno rispetto del principio di laicità e focalizzando l’attenzione sulla genesi culturale della violenza di genere, ovvero sulla disparità storicamente presente nelle relazioni di potere tra uomini e donne. Si raccomanda di predisporre risorse economiche a tal fine;


  • Elaborare strumenti di linguaggio orale e scritto, implementando quelli già esistenti, che rispecchino l’evoluzione sociale della necessaria transizione culturale verso il pieno riconoscimento dell’autodeterminazione femminile;


  • Contrastare il fenomeno della tratta degli esseri umani a scopo di sfruttamento sessuale con attività di prevenzione, identificazione precoce delle vittime e messa in protezione delle stesse, anche attraverso lo stanziamento di risorse economiche; Chiudere il settore femminile del Centro di permanenza per i rimpatri di Ponte Galeria.





Note


(1) - https://www.istat.it/it/files/2018/04/Analisi-delle-sentenze-di-Femminicidio-Ministero-di-Giustizia.pdf

(2) - https://www.ilo.org/it/media/374896/download

(3) - https://www.istat.it/it/files/2019/09/Mercato-del-lavoro-II-trim-2019.pdf

(4) - https://www.lavorosi.it/lavori-parlamentari/gazzetta-ufficiale/legge-5-novembre-2021-n-162-parita-di-genere-e-codice-delle-pari-opportunita/

(5) - https://www.istat.it/it/files/2022/04/3.pdf

(6) - https://www.epicentro.iss.it/materno/studio-nazionale-fertilita-fasce-popolazione, https://www.istat.it/it/files/2018/03/La-salute-riproduttiva-della-donna.pdf

(7) - https://economiacircolare.com/tampon-tax/, https://www.leggiscomodo.org/tampon-tax/

(8) - https://www.dirittoegiustizia.it/#/documentDetail/10380749

(9) - https://www.aogoi.it/notiziario/aborto-consultori/

(10) - https://www.abuondiritto.it/storage/app/media/rapporti/Corto_Circuito_Rapporto_sportello.pdf

(11) - https://www.meltingpot.org/2023/01/il-fenomeno-della-femminilizzazione-dei-flussi-migratori/

(12) - https://www.uil.it/UfficioStampa/comunicatistampa.asp?ID_NEWS_SX=14404, https://www.ingenere.it/articoli/sovraesposte-alla-crisi-straniere-nella-pandemia

(13) - https://www.abuondiritto.it/storage/app/media/rapporti/Corto_Circuito_Rapporto_sportello.pdf

Franca Viola

Franca Viola

(Alcamo 1948 - )
FRANCA VIOLA: LA PRIMA DONNA A RIFIUTARE UN MATRIMONIO RIPARATORE CON L'UOMO CHE L'AVEVA VIOLENTATA

Siamo nel 1965 ad Alcamo, in Sicilia.

Franca ha diciassette anni ed è, come potete vedere dalla foto, una ragazza bellissima. La ragazza più bella del paese. Filippo Melodia, nipote di un boss locale, la brama da tempo e decide di rapirla così da averla tutta per sé.

Sì, perché in quel 1965 in Italia l'articolo 544 del codice penale prevede che i reati di rapimento e stupro si possano estinguere con un matrimonio riparatore. Il violentatore non paga per i suoi crimini e la vittima salva il proprio onore, in obbedienza a un codice morale che definire squallido è niente. Il 26 dicembre, Melodia con l'aiuto di dodici sgherri irrompe nella casa dei Viola, malmena la madre, rapisce la ragazza e suo fratello di otto anni. Il piccolo viene presto rilasciato mentre Franca viene stuprata e segregata per otto giorni in un casolare.

A Capodanno il padre di Franca fu contattato dai parenti di Melodia per la cosiddetta "paciata", un incontro in cui venne informato che la figlia non era più "illibata" e furono stabiliti i dettagli del matrimonio riparatore. Un matrimonio che però né Franca né suo padre erano disposti ad accettare. Perché Franca aveva deciso, finalmente, che si poteva dire no al matrimonio riparatore: in questa battaglia ebbe il supporto della sua famiglia. Il padre finse quindi di accettare la proposta e chiamò la polizia che il due gennaio fece irruzione nel casolare arrestando Melodia. Seguì un processo che condannò lo stupratore a undici anni di carcere e soprattutto dimostrò quanto fosse vergognosa la legislazione nell'ambito del diritto di famiglia. Bisognerà attendere addirittura il 1981 perché il parlamento italiano si degni di cancellare gli articoli del codice penale relativi al delitto d'onore e al matrimonio riparatore. Franca e la sua famiglia furono a lungo emarginate dall'intera comunità in cui vivevano, ma ebbero la forza di non piegarsi a un codice morale vergognoso. La giovane in seguito si sposerà con Giuseppe, l'uomo che amava e ama ancora.

Oggi ha due figli adulti e una nipote bellissima come lei.

Continua a essere una donna coraggiosa e libera e a combattere per quello in cui crede.